DAVID LEAVITT, BALLO DI FAMIGLIA (Sem, pag. 231, euro 17.00 Nuova traduzione di Fabio Cremonesi).
E' stupefacente. Si non trovo altre parole per raccontare l'emozione che mi ha dato rileggere dopo tanti anni ''Ballo di famiglia'', il più fulminante esordio letterario di una generazione che ha portato nuova luce nella letteratura americana. David Leavitt è capace di riportare quella rivoluzione che fu la sua prosa asciutta e insieme intensa fino allo struggimento nelle due cose nuove che arricchiscono questo prezioso volume che torna nella bella traduzione di Fabio Cremonesi, l'introduzione e il meraviglioso brevissimo racconto inedito che le dà un rinnovato finale.
Ecco ''il pensiero le era venuto nello stesso modo in cui il portatore di un epidemia arriva in una cittadina ignara'', scrive in ''Contando i mesi'', racconto in cui la protagonista si rende improvvisamente conto di essere capitata nel giorno in cui le era stata annunciato che sarebbe avvenuta la sua morte.
E' con la stessa potenza che Leavitt torna a rileggere questi suoi racconti scritti quando aveva poco più di vent'anni, era il 1984 quando uscirono e cambiarono per sempre la sua esistenza.
Rileggerli per lui è in qualche modo rileggere la sua vita, quando pubblicò sul New Yorker ad esempio ''Territorio'', considerato il primo racconto gay mai apparso su quel magazine.
''Parla di un giovane gay che invita a casa il suo ragazzo per presentargli la madre, e io fino a quel momento non avevo mai ammesso di essere gay con me stesso figuriamoci con mia madre; non avevo mai avuto un ragazzo e tantomeno mi ero sognato di portarlo a casa''. Racconti legati a pensieri nemmeno ancora formulati nella sua mente, racconti legati a luoghi, che per lo scrittore sono soprattutto quelli in cui li ha scritti poi divenuti altrettanto centrali nella sua vita. Come ''Danny in transito'' scritto sul polveroso pavimento di una camera d'albergo a Roma, quando l'Italia sarebbe diventata la sua seconda patria. E poi la scelta dell'agente che gli avrebbe fatto capire che la cosa più importante era fare quello che sentiva di fare, come gli avevano insegnato i suoi maestri Raimond Carver e Grace Paley. E Paley, ricorda Leavitt, a chi le chiedeva perchè scriveva racconti rispose: ''Perchè l'arte è breve e la vita è lunga''. Si la vita, quella che oggi a 59 anni Leavitt dice che fa sempre più fatica a far entrare nella pagina di un libro ed invece allora ci cadeva così con la stordita naturalezza che gli era propria, senza quasi che se ne accorgesse.
E poi rileggere questo bellissimo libro che ci aveva saputo descrivere il mondo in cui tutti noi saremmo caduti sognando una libertà che ci lasciava desolati, varrebbe la pena oggi anche solo per scoprire nella nuova introduzione l'omaggio che l'autore fa alla sua traduttrice di allora, la grande Delfina Vezzoli a cui regala una pagina a dir poco commovente.
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