(di Claudio Salvalaggio)
Il Kennedy Center vizia il suo
pubblico e, una settimana dopo i Berliner, assenti a Washington
da ben 21 anni, porta un'altra delle migliori orchestre del
mondo: la Royal Concertgebouw, tornata nella capitale Usa nel
weekend dopo cinque anni, per chiudere la sua tournée americana.
Pubblico delle grandi occasioni, tutto esaurito e lunghe
ovazioni per un concerto superbo sotto la bacchetta magica del
finlandese Klaus Mäkelä: il maestro "prodige" che, a soli 28
anni, è il direttore musicale dell'Orchestre de Paris dal 2021
ed è già stato annunciato come chief conductor della blasonata
orchestra olandese dal settembre 2027, quando diventerà anche
direttore musicale della Chicago Symphony Orchestra. Un caso
senza precedenti, perché nessun direttore d'orchestra nella
storia moderna ha mai ricevuto incarichi così importanti a una
così giovane età.
Il concerto è stato aperto da un nuovo pezzo intensamente
personale e originale dell'americana Ellen Reid, composer in
residence della Concertgebouw: Body Cosmic, una meditazione sul
miracolo della gravidanza e del parto.
A seguire, due capolavori novecenteschi di compositori russi,
all'epoca uno di ritorno alla madrepatria e l'altro in partenza
per gli Stati Uniti. Prima il Concerto per violino n. 2 di
Prokofiev, con la straordinaria solista di origine georgiana
Lisa Batiashvili, virtuosa e profondamente musicale nello stesso
tempo, che, con la sua mise gitana, ha voluto omaggiare i
risvolti spagnoleggianti dell'opera, eseguita per la prima volta
a Madrid nel 1935 e con un terzo tempo dove compaiono anche le
nacchere. A lungo applaudita, l'artista, che suonava un Guarneri
del Gesù del 1739, ha concesso come bis un preludio corale di
Bach, "Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ" (Bwv 639).
Poi è stato il momento della seconda sinfonia di
Rachmaninoff, la più sontuosa ed esuberante delle sue tre
sinfonie, una grandiosa sintesi della sua estetica prima della
sua immigrazione negli Usa, la più lirica e sfacciatamente russa
delle sue opere su larga scala, piena di allusioni a canti e
marce russe. Qui l'orchestra - reduce dalla Carnegie Hall di New
York - ha dato il meglio di sé in tutti i reparti, con
un'eleganza perfettamente amalgamata, raffinata, fastosa. Tra i
soli, degno di nota quello del primo clarinetto italiano
Calogero Palermo. Vivace e forse volutamente simbolico il bis
finale: l'Hopak, dall'opera incompiuta di Mussorgsky La fiera di
Sorochinski - arrangiata per grande orchestra da Anatoly Lyadov
- una danza popolare celebrativa ucraina.
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