Questa Turandot, al debutto ieri
sera al Teatro Massimo di Palermo, abita a Pechino, al tempo
delle favole, ma vive nella sontuosa tomba degli avi. La regia
di Alessandro Talevi insiste sul rapporto indissolubile che la
principessa ha con gli avi defunti e soprattutto con un'altra
principessa, vissuta in un tempo lontano, violentata da un uomo
e che è all'origine dell'odio che Turandot nutre per tutti gli
uomini. Il coro, che è il vero protagonista dell'opera è
collocato in due grandi fosse, stanno in basso come schiavi,
buoni solo per obbedire. In basso ci sono due cunicoli che
conservano i teschi dei principi che hanno chiesto la mano di
Turandot, non hanno risolto i tre enigmi posti da lei e sono
stati decapitati.
La regia oscilla tra la tradizione della scena e dei costumi
di Anna Bonomelli, e poi un guizzo, le tre maschere indossano
costumi degni di un cabaret anni '20. E' una bella idea che
forse andava giocata di più e su più piani. Gli anni 20 sono gli
ultimi di Puccini, di cui il teatro celebra i 100 anni dalla
morte, ed è una cifra che ben si sposa con le ardite armonie
dell'ultima opera del compositore di Lucca. Carlo Goldestein dà
una lettura corretta e sobria dell'opera e sembra mediare tra
l'orchestra e un suono spinto e le necessità dei cantanti che
affrontano una partitura dalle altezze proibitive. Anche Calaf,
Timur il padre e la schiava Liù si nascondono tra gli schiavi.
Il principe Calaf verrà fuori quando decide di affrontare la
prova degli enigmi.
Nel cast si distinguono la Liù di Juliana Grigoryan che da
stasera si alterna con la palermitana Jessica Nuccio. Una prova
impegnativa e ben riuscita per il soprano Ewa Plonka (Turandot),
Martin Muehle è il principe ignoto, Calaf, dalla dizione
perfetta che gioca bene il suo ruolo fino all'amatissima "Nessun
Dorma". Alessio Arduini, Matteo Mezzaro e Blagoj Nacoski. Di
gran mestiere il Timur di Giorgi Manoshvili.
Si replica fino al 29 settembre.
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