Domenica 20 maggio debutta al
Teatro Massimo di Palermo l'opera più impegnativa di tutta la
Stagione 2024, "Tristano e Isotta" di Richard Wagner. Un'opera
spartiacque nella storia della musica. Dopo nulla sarà più lo
stesso, a partire da quello che è divenuto celebre come l'
"Accordo di Tristano". Perché sia così importante lo spiega il
maestro Marco Betta soprintendente del Massimo, ma anche un
compositore, le cui opere sono eseguite in tutto il mondo. "E'
un accordo molto particolare - sottolinea il maestro - indicato
come momento della nascita della musica moderna e contemporanea.
Esprime una tensione indicibile, che esprime l'eternità di un
rapporto d'amore destinato a non concludersi mai".
Marco Betta è un musicista gentiluomo, figura di punta nel
panorama lirico italiano. Polso fermo quando occorre, esprime
anche una gentilezza sorprendente anche nel modo di governare il
teatro e i suoi 400 dipendenti. Si alza alle 5,30 del mattino
per comporre e studiare e non togliere spazio alla guida del
teatro che è totalizzante. Fu lui che riuscì a riaprire il
Massimo con tre opere che fecero la gioia del pubblico: Aida,
Rosenkavalier e Tannhauser.
C'è un particolare legame che lega Wagner all'Italia e a
Palermo?
"Assolutamente, Venezia, dove morì, ma soprattutto Palermo
dove finì il suo Parsifal, in un Harmonium che oggi viene
custodito al Teatro Massimo".
Perché Wagner amava così tanto Bellini?
"Per le sue folgoranti melodie, lunghe, lunghissime, quegli
incontri tra le parole e il suono. Penso che Wagner amasse di
Bellini quello che non trovava nella sua arte, certe soluzioni
armoniche per nulla consuete. Spesso capita che i compositori
amino ciò che è diverso da loro".
Wagner ha avuto aiuti economici di molti tipi e poi la
protezione del re di Baviera. Lei ha mai trovato il suo Ludwig?
"No. Il mondo della musica è cambiato totalmente. Oggi la
committenza è data dai teatri, dalle orchestre o dai festival.
Ma i primi 20 anni del nuovo secolo sono stati un momento molto
particolare. La mia generazione è sospesa tra due secoli. Il 900
ci ha lasciato un'eredità straordinaria, piena di stimoli, ma
viviamo in un tempo radicalmente diverso dal passato. Ma sono
convinto che la coincidenza di tre grandi opere incompiute:
Turandot di Puccini, Lulù di Berg e il Moses di Scoemberg siano
un segno di riconsiderazione del senso dell'opera lirica".
Lei ha sempre voluto portare la musica classica dove nessuno
l'ha mai sentita e anche quest'anno allo Sperone il Teatro sta
per creare un coro cittadino formato da volontari di Sperone-
Zen e Danisinni, quartieri avvezzi al degrado. Qual è il reale
valore dell'operazione?
"I valori sono il rispetto, la disciplina, l'ascolto. Per
cantare in coro occorre ascoltarsi gli uni con gli altri. E'
anche un veicolo del sentimento di accoglienza. Allora può
accadere che la musica possa divenire strumento di salvezza. Se
anche uno solo impara a suonare uno strumento o dovesse studiare
canto, per me è una vittoria".
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