L'esposizione prolungata all'arsenico
nell'acqua può aumentare le malattie cardiovascolari, anche a
livelli di esposizione bassi. Lo indica un nuovo studio della
Columbia University Mailman School of Public Health, il primo a
descrivere le relazioni esposizione-risposta a concentrazioni
inferiori all'attuale limite normativo in vigore in molti Paesi
tra cui Stati Uniti (10 µg per litro)
L'arsenico è stato classificato dalla Iarc (Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro) come cancerogeno per
l'uomo per questo anche in Italia i limiti della sua presenza
nell'acqua sono stati abbassati a 10 µg per litro) e secondo
l'American Heart Association ci sono prove che l'esposizione a
valori elevati aumenti il rischio di malattie cardiovascolari.
Partendo da qui, lo studio ha invece valutato gli effetti di
un'esposizione a lungo termine, ma a basse dosi, di arsenico
provenienti da forniture di acqua potabile. Per farlo, i
ricercatori della Columbia Mailman School hanno utilizzato i
registri dell'assistenza sanitaria statale raccolti per la
coorte del California Teachers Study. Il team ha raccolto dati
sull'arsenico nell'acqua per tre decenni (1990-2020) e ha
incluso 98.250 partecipanti, 6.119 casi di cardiopatia ischemica
e 9.936 casi di malattie cardiovascolari.
Lo studio ha rilevato che l'esposizione decennale
all'arsenico era associata al rischio maggiore in particolare di
ischemia coronarica. Rispetto a un gruppo a bassa esposizione
(sotto 1µg/L), il rischio di malattie cardiache è balzato al 20
percento tra coloro che rientravano in intervalli di esposizione
da 5 e 10 µg/L ed è più che raddoppiato al 42 percento per
coloro che erano esposti a livelli pari o superiori a 10 µg/L.
I risultati, pubblicati sulla rivista Environmental Health
Perspectives, offrono una prova "della necessità di standard
normativi per la protezione della salute e forniscono a sostegno
della riduzione del limite attuale per eliminare ulteriormente
rischi significativi", scrive la ricercatrice principale,
Danielle Medgyesi.
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