Altro giro, altra corsa: dopo il tentativo fallito in meno di 100 giorni di governare la Francia con il premier neogollista Michel Barnier, sfiduciato dall'inedita unione tra l'estrema destra di Marine Le Pen (Rassemblement National) e l'estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise), Emmanuel Macron tenta ora la strada di un "governo di interesse generale" che possa eventualmente includere anche la sinistra moderata.
La grande novità di giornata è infatti che il Partito socialista si è detto pronto a discutere con la coalizione macroniana e la destra sulla base di "reciproche concessioni" per la nomina di un nuovo premier a Matignon. Il segretario del Ps, Olivier Faure, che è stato ricevuto a mezzogiorno all'Eliseo, ha precisato ai microfoni di France Info che tale governo nascerebbe sulla base di "un contratto a tempo determinato".
Esclusa dalla partita, la leader dell'estrema destra ha già avvertito: "Posso tranquillamente votare un'altra mozione di sfiducia ad un governo" e far cadere anche il prossimo primo ministro.
Dicendosi pronto a "compromessi su tutti i temi", incluso la riforma delle pensioni, Faure ha scatenato anche l'ira dei compagni di coalizione nel Nouveau Front Populaire (Nfp). A cominciare da Mélenchon. "La France Insoumise - ha tuonato il tribuno in cravatta rossa - non ha dato alcun mandato" al segretario socialista "di negoziare un accordo". "Per entrare in una coalizione con i macroniani - ha rincarato su X il coordinatore Lfi, Manuel Bompard - il Ps è ormai disposto a rinunciare all'abrogazione della pensione a 64 anni. Il giuramento dell'8 giugno 2023 di fare tutto per questa abrogazione è stato già sepolto? Stupefacente". Sconcertata per l'improvvisa apertura dei socialisti a Macron è anche la leader degli ecologisti, Marine Tondelier, che ha invitato il Ps a "non cadere nella trappola".
A destra l'idea delle larghe intese con il Partito socialista irrita peraltro anche i Républicains, come il falco ministro dimissionario dell'Interno, Bruno Retailleau, secondo cui il suo partito non può "fare alcun compromesso con la gauche che ha votato una mozione di sfiducia irresponsabile" contro Barnier. Lasciando l'Eliseo, Faure ha avvertito che il Ps "non parteciperà in alcun caso ad un governo con un primo ministro di destra". Smentendo poi, subito dopo, che Macron abbia chiesto come precondizione ai socialisti di rompere l'alleanza con Mélenchon.
Posizioni opposte e speculari dalla destra dei Républicains: "Nulla di contrario ad un primo ministro che non sia dei nostri, a condizione che non ci sia il Ps", ha detto un collaboratore di Retailleau, secondo cui verranno accettate dai Républicains solo partecipazioni al governo "di personalità di sinistra non compromesse con Lfi: Didier Migaud, Manuel Valls, Bernard Cazeneuve".
Chiunque esso sia, il futuro inquilino di Matignon avrà il compito di varare la manovra finanziaria 2025, le cui trattative in parlamento sono saltate assieme alla sfiducia. Ieri, nel messaggio alla nazione seguito da oltre 17 milioni di telespettatori, Macron ha annunciato una legge temporanea che "consentirà la continuità dei servizi pubblici e della vita del Paese", applicando per il 2025 le scelte di bilancio del 2024.
Nel totopremier entrano anche il del centrista Francois Bayrou, l'attuale ministro della Difesa Sébastien Lecornu o gli ex ministri Xavier Bertrand e François Baroin. Salvo sorprese, l'annuncio del nuovo primo ministro è comunque atteso non prima di lunedì. Macron si appresta infatti a ricevere domani a Parigi oltre 40 leader mondiali, tra cui Sergio Mattarella e Donald Trump, per l'attesa riapertura di Notre-Dame de Paris. E chissà che dopo l'impresa di un cantiere realizzato in soli cinque anni, la Francia dei veleni e delle divisioni non possa cominciare a brillare anche nell'arte del compromesso.
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