In Israele i parenti degli ostaggi, a Gaza i civili sono ancora una volta con il fiato sospeso nella speranza di un accordo per il cessate il fuoco che, come la tela di Penelope, rischia di essere strappato all'ultimo come è successo molte volte nei mesi scorsi. Se finora l'ottimismo tra le parti faceva sperare in una tregua di Natale con il ritorno degli ostaggi, ora l'atmosfera è sospesa. E non aiutano i toni sempre muscolari di Benyamin Netanyahu che, in un'intervista al Wsj, afferma che non accetterà di "mettere fine alla guerra prima di aver sradicato Hamas" dalla Striscia.
La posizione del premier in realtà non è una novità e infatti le delegazioni di Hamas, della Jihad islamica palestinese e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, incontratesi ieri al Cairo, hanno mostrato ottimismo: un accordo "è più vicino che mai se il nemico smette di porre nuove condizioni".
E' proprio la durata dell'accordo di cessate il fuoco il principale nodo nei negoziati in corso con Hamas che chiede la fine della guerra, mentre Netanyahu vuole una pausa temporanea durante la quale gli ostaggi vengono rilasciati, seguita dalla ripresa dei combattimenti per completare lo smantellamento del gruppo terroristico. "Non li lasceremo al potere a Gaza, a 30 miglia da Tel Aviv. Non accadrà", ha assicurato il premier che non ha mai interrotto i raid di terra e di aria nella Striscia dove i morti hanno raggiunto il tragico numero di 45.227 vittime. Le sue parole alimentano i timori dei parenti degli ostaggi mentre scende al 22 per cento la fiducia degli israeliani verso il suo governo. Einav Zangauker, la mamma di Matan Zangauker, tenuto prigioniero a Gaza, ha attaccato il primo ministro accusandolo di tentare di affossare i negoziati.
"Porre fine alla guerra non è né un ostacolo né un prezzo. Porre fine alla guerra per riportare a casa tutti gli ostaggi è l'obiettivo", ha chiarito la donna manifestando, come ogni giorno da oltre un anno, davanti alle sedi delle autorità israeliane.
Oltre a dover prendere una decisione definitiva sul cessate il fuoco, Netanyahu deve decidere anche come mettere fine agli ormai sempre più frequenti attacchi degli Houthi. Nella notte tra venerdì e sabato, un missile balistico, sparato dallo Yemen, è riuscito a superare l'Iron Dome, la cupola di ferro che intercetta migliaia di razzi, e a colpire un parco di Tel Aviv, ferendo lievemente 16 persone (23, secondo altre fonti) tra le quali una bambina di 3 anni. L'aeronautica israeliana, che ha aperto un'inchiesta sulla falla nella difesa aerea, ha finora stabilito che nessuno dei missili intercettori è riuscito ad abbattere il missile, costringendo molti residenti a lasciare le loro case in piena notte. "Il fallimento di tutti i sistemi di difesa israeliani significa che il cuore del nemico sionista non è più al sicuro", ha esultato un dirigente dei ribelli sciiti filoiraniani yemeniti. Alcune ore dopo l'attacco, sempre dallo Yemen un drone ha volato verso il sud di Israele ma stavolta è stato neutralizzato dall'Idf.
Il raid yemenita arriva solo due giorni dopo che i ribelli hanno lanciato un missile che ha danneggiato una scuola israeliana. "Dopo Hamas, Hezbollah e il regime di Assad in Siria, gli Houthi sono quasi l'ultimo braccio rimasto dell'asse del male dell'Iran", aveva osservato il premier annunciando una nuova rappresaglia contro obiettivi militari Houthi, dopo aver finora colpito porti e infrastrutture energetiche anche nella capitale yemenita Sanaa.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA