A una settimana esatta dall'inizio della loro offensiva partita dal nord della Siria che ha colto di sorpresa il regime di Bashar al Assad, i ribelli jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham, affiancati da fazioni filo-turche, sono entrati a Hama, nel centro del Paese, pochi giorni dopo aver preso Aleppo al nord. "Ci congratuliamo con gli abitanti di Hama per la loro vittoria", ha dichiarato il leader degli insorti, Abu Mohammed al-Jolani in un messaggio postato su Telegram firmato "comandante Ahmed al-Sharaa", il suo vero nome, assicurando che non ci sarà "alcuna vendetta".
Dopo aver tentato per giorni di fermare la loro avanzata con combattimenti per strada e raid aerei sostenuti anche dai jet russi, l'esercito governativo ha ammesso di aver perso il controllo di Hama e che le proprie truppe sono state costrette a "ridistribuirsi fuori città". I ribelli hanno quindi raggiunto la prigione della città e liberato i detenuti, mentre gli abitanti hanno denunciato di essere rimasti isolati, chiusi in casa senza collegamenti internet, in attesa di capire cosa stesse succedendo.
"La carneficina in Siria deve fermarsi", ha detto il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, evocando "un fallimento collettivo" in un Paese già provato da anni di guerra civile e dalle violenze dell'Isis. In questo quadro si moltiplicano gli appelli e i contatti tra i principali sostenitori dell'una e dell'altra parte. L'Iran, che con la Russia è schierato al fianco di Assad, ha ribadito il proprio sostegno "al governo, al popolo e all'esercito siriano nella lotta contro i gruppi terroristici", denunciando il loro ritorno nella regione "come una seria minaccia per la pace, la sicurezza e la stabilità". Così come il leader di Hezbollah, Naim Qassem, che accusando gli Usa e Israele di aver "orchestrato l'aggressione alla Siria", ha confermato l'appoggio del Partito di Dio libanese - seppure indebolito dalla guerra - a Damasco.
Sull'altro fronte, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha invitato Assad - attraverso una telefonata con Guterres - a trovare "urgentemente" una "soluzione politica" al conflitto. "Le nostre truppe adottano tutte le misure per mantenere la stabilità nella regione e continuano la stretta cooperazione con le nostre controparti nella regione", ha affermato il ministero della Difesa di Ankara, in riferimento all'avanzata delle forze filo-turche in Siria al fianco dell'Hts. "Non permetteremo - ha aggiunto in un comunicato - che il Pkk/Ypg (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan e le forze curde siriane) tragga vantaggio dall'instabilità regionale".
Jolani ha intanto assicurato che a Hama non ci sarà "alcuna vendetta" del famigerato massacro di civili del 1982 ad opera del padre dell'attuale presidente, Hafez al Assad, nella repressione di un'insurrezione dei Fratelli musulmani. "Chiedo a Dio onnipotente che sia una conquista senza vendetta", ha detto Jolani in un messaggio video su Telegram, pur annunciando l'ingresso a Hama "per ripulire la ferita che dura da 40 anni in Siria". Il leader dei ribelli ha inoltre messo in guardia l'Iraq dal tenersi alla larga da quanto sta accadendo nel Paese vicino. Un simile appello è stato lanciato anche dal leader politico sciita iracheno Moqtada Sadr: "L'Iraq, il suo governo, le milizie e le forze di sicurezza non devono interferire negli affari siriani", ha affermato su X. La caduta di Hama apre ai jihadisti la strada verso Homs, ancora più a sud verso Damasco. La Cina, che ha di recente rafforzato i rapporti con la Siria, ha invitato i suoi concittadini a lasciare il Paese "il più rapidamente possibile" a causa del deterioramento della situazione. Secondo l'Osservatorio per i diritti umani in Siria, dal 27 novembre gli scontri tra ribelli ed esercito e i bombardamenti aerei hanno causato la morte di oltre 727 persone di cui 111 civili.
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