Dalle indagini, dirette dalla Procura europea capitolina, è emerso un progetto criminoso orchestrato principalmente da imprenditori di origine cinese.
Al vertice della struttura una coppia di coniugi cinesi che, attraverso numerose società e professionisti compiacenti, riusciva a introdurre sul mercato italiano beni di provenienza cinese - quali capi di abbigliamento, calzature, borse ed accessori vari -, in completa evasione dell'Iva, attraverso l'abuso del cosiddetto 'regime doganale 42'.
La merce cinese
veniva sdoganata principalmente in Bulgaria, Ungheria o Grecia,
e poi trasferita direttamente negli hub logistici in Italia, per
la successiva commercializzazione. Dal punto di vista
documentale, la merce subiva varie cessioni intracomunitarie tra
operatori fittizi, accompagnate da fatture per operazioni
inesistenti. Al fine di evitare controlli le società terminavano
il loro ciclo vitale in un lasso di tempo molto breve (circa due
anni), per essere poi sostituite da altre appositamente create
per proseguire lo schema di frode. Le indagini hanno anche fatto
emergere come l'associazione criminale offrisse alla comunità
cinese residente nel territorio nazionale, servizi occulti di
trasferimento di denaro in madrepatria, previa richiesta di una
percentuale sull'importo oggetto di transazione.
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