(di Mila Onder) Non è una doccia fredda come quella arrivata dalle parole di Giancarlo Giorgetti a Bloomberg, ma il dato sul Pil fornito nelle ultime 24 ore dall'Istat qualche perplessità in più sull'andamento dell'economia italiana potrebbe farla nascere.
L'istituto di statistica ha rivisto al ribasso la stima tendenziale sul Pil del secondo trimestre, ma soprattutto ha tagliato - peraltro con una correzione arrivata in un secondo momento - la crescita acquisita per il 2024, portandola dallo 0,6% allo 0,4%.
Se il +1% scritto dal governo
nel Piano strutturale di bilancio della scorsa settimana,
ribadito anche dallo stesso Giorgetti, sembrava fino a poche ore
fa un risultato praticamente già messo in tasca, le certezze
potrebbero ora cominciare a vacillare.
E se la crescita non centrasse l'obiettivo, anche il lavoro
del governo si farebbe più complicato. Meno crescita vuol dire
meno entrate e più deficit, oltre che maggiore pressione
fiscale. Nel secondo trimestre in cui l'Istat ha rivisto la
crescita al ribasso, il peso del fisco rispetto al Pil è stato
pari al 41,3%, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto allo
stesso periodo dell'anno precedente.
Il dato risente degli aggiustamenti statistici ma,
considerate le tensioni nate sulla questione tasse all'interno
della maggioranza, rischia di non passare inosservato visto che
proprio sulle tasse l'opposizione ha gioco facile ad attaccare e
rischiano di giocarsi anche gli equilibri tra gli alleati. Sul
tavolo c'è innanzitutto il nodo accise. Il governo ha chiarito
che non si tratterà di un aumento tout court di quelle sul
diesel ma di un allineamento tra benzina e gasolio. L'Unem ha
quindi rifatto i calcoli sottolineando che "nell'ipotesi
estrema" in cui la misura si traducesse nell'equiparazione
dell'accisa sul gasolio a quella della benzina, l'effetto
sarebbe un aumento immediato dei prezzi al consumo del gasolio
di 13,5 centesimi di euro al litro, ovvero in un maggiore
esborso per le famiglie di quasi 2 miliardi di euro, pari a
circa 70 euro all'anno.
C'è poi il tema sigarette, per le quali gli oncologi hanno
proposto un maxi-aumento di 5 euro a pacchetto come sostegno al
Sistema sanitario nazionale. Ma c'è soprattutto il tema del
'contributo' delle imprese e del mondo bancario e assicurativo.
Le ipotesi restano tutte aperte e non sembra essere esclusa
quella di un addizionale Ires (tra 0,5% e 1%) che però le banche
sembrano intenzionate a respingere per evitare un impatto sui
conti. Una risposta piuttosto esplicita arriva da Augusto
Dell'Erba, presidente di Federcasse-Bcc, secondo cui "i prelievi
forzosi e improvvisi, peraltro su redditi già generati, quindi
con una forma di retroattività, non sono il modo migliore per
gettare le basi per un reale rilancio del Paese". La prende più
alla larga Antonio Patuelli che però spiega come "più le tasse
sono alte, più la ricchezza e i valori vanno via". Il presidente
dell'Abi manda il suo messaggio: vede una legge di bilancio
"meno drammatica di quello che può apparire", anche perché "i
germogli di ripresa e di legalità portano maggiori introiti allo
Stato".
L'idea di un contributo delle grandi imprese è invece
condivisa da Luigi Sbarra della Cisl e da PierPaolo Bombardieri
della Uil che definisce quella di Giorgetti "una dichiarazione
di buon senso". E un'aliquota "pesante" sulla ricchezza prodotta
viene invocata anche dalla segretaria confederale della Cgil,
Francesca Re David. Di Ires, ma non come addizionale, hanno
peraltro discusso il ministro e il presidente di Confindustria
Emanuele Orsini in un incontro con al centro il piano casa
proposto dagli industriali, ma anche "la premialità Ires, come
scritto nella legge delega fiscale, per chi fa investimenti".
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