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Bambino di Balzano e la ferocia del fascismo a Trieste

Bambino di Balzano e la ferocia del fascismo a Trieste

un romanzo sul passato che oggi ci pare esemplare e terribile

ROMA, 05 gennaio 2025

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Paolo Petroni) MARCO BALZANO, ''BAMBINO'' (EINAUDI, pp. 224 - 19,00 euro) - Un libro aspro nel suo indagare il male, quello della violenza e della ferocia legate allo squadrismo fascista che ne garantisce l'impunità, come scopre Mattia Gregori, detto Bambino per il suo viso liscio e senza barba. In questo si potrebbe leggere il romanzo come esemplare vista la situazione politica che viviamo oggi, le accuse di autoritarismo e fascismo con cui mai si son fatti i conti, un'opera nata per sottolineare, a chi prova a dimenticare o distorcere quel passato, quale fosse la realtà di quel regime e della sua presa del potere.
    Bambino abusa persino della sua estrema situazione e, forte della propria divisa e della fama acquisita col proprio agire spietato, deruba metodicamente, intimidisce, abusa dei civili più inermi e indifesi. Bisogna allora notare però che quel che interessa farci scoprire allo scrittore è la psicologia del protagonista, del violento e della sua ferocia in relazione alla situazione storica, del rapporto col branco che dà un'identità e protegge, che dona quella sensazione di ''onnipotenza che entra nelle ossa'' e fa sentire al di sopra di ogni regola, allontanando qualsiasi sentimento di umanità e pietà. Assieme poi ricordiamo che il tema del fascismo violento e oppressore analizzato nelle situazioni peculiari delle zone di confine è proprio degli interessi di Balzano assieme a una poetica attenta in particolare allo scontro tra diverse culture. Basti citare almeno il successo del suo 'Resto qui', nella cinquina dello Strega 2018, vincitore di diversi premi tra cui in Francia il Prix Mediterranee, dove si narrava delle coercizioni con cui il fascismo tentò di negare lingua e identità agli abitanti del sud Tirolo, mentre 'Bambino' ora parla di Trieste e l'Istria sempre durante il ventennio, dove i perseguitati diventano all'improvviso gli slavi, i vicini di casa, le persone con cui c'era antica convivenza pacifica.
    Anche il giovane protagonista ha un amico del cuore, Ernesto, che è slavo e lui, che non ha mai conosciuto la propria madre ed è orfano della moglie del padre Tella che lo ha cresciuto, alla madre di questo, Ksenija, è particolarmente legato. Eppure sarà lui a diventare noto proprio come persecutore senza pietà di chi usa quella ''lingua di merda da vietare'' del tutto, dalle scuole alle chiese e sempre e comunque in pubblico, guadagnandosi i gradi di Capomanipolo della Milizia a 25 anni.
    Tra loro gira esasperato sperando di ritrovare sua madre, di cui non sa nulla, nemmeno il nome, e questo è il suo dolore e la sua spinta più profonda.
    Tutta la sua vicenda, al di là della madre, ha un suo nodo vitale dolce e aspro nel rapporto del protagonista col padre, un anziano artigiano, apprezzato orologiaio che insegna la su arte al figlio, rifiutandosi sempre di iscriversi al partito fascista e per questo perseguitato, picchiato con la bottega distrutta, proprio dai compagni, i camerati del suo Mattia, di cui si vergogna profondamente ma è incapace di respingerlo quando gli chiede aiuto. E poi l'amore impossibile, dato il suo passato e la sua fama, per Gigliola, ''donna di cui non sapevo niente, che mi aveva ridotto peggio del fronte'', la quale gli cede strumentalmente prima di sparire con gli ebrei che sta proteggendo, mentre i tedeschi hanno fatto di San Sabba un lager con forni crematori, le cui ceneri i militari versano tutti i giorni in mare.
    Un impietoso ritratto di una realtà e della storia del nostro paese, tra fascismo, squadrismo, guerra di Libia, delazioni, borsa nera, liberazioni reali e illusorie va dal 1920, da 13 luglio di quell'anno quando, con tutti coloro che c'erano dentro, fu incendiato dai fascisti, che impedirono anche ai pompieri di intervenire, il Narodni Dom, la casa nazionale della cultura slovena a Trieste (fatto che Renzo De Felice definì ''il vero battesimo dello squadrismo organizzato''), sino al 1946, quando la città è sotto il Governo Militare Alleato, dopo essere stata occupata dai nazisti dal settembre 1943 al primo maggio 1945, quando liberarono la città le truppe partigiane jugoslave del maresciallo Tito che spadroneggiarono per un anno, vendicandosi degli orrori subiti con l'orrore delle foibe, le profonde cavità naturali del Carso in cui i nemici venivano gettati spesso ancora vivi. Con fascisti, nazisti e titini Bambino è sempre pronto, pur di salvarsi, a fare il delatore, a denunciare e tradire gli uni e gli altri, anche se Balzano, che lascia implicito, senza mai esprimersi, il giudizio su ciò che racconta, ci fa capire sin dall'inizio che il baratro di una foiba incombe anche su di lui. ''Ho ucciso e fatto uccidere. Ho sempre cercato di stare dalla parte del più forte e mi sono sempre ritrovato dalla parte sbagliata''.
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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