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'Narcotopia', la storia dello Stato asiatico che vive di droga

'Narcotopia', la storia dello Stato asiatico che vive di droga

Da domani in libreria il libro di Winn con prefazione di Saviano

ROMA, 23 settembre 2024

Redazione ANSA

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(di Chiara Venuto) PATRICK WINN, NARCOTOPIA (ADELPHI, PP 503, 30 EURO) Il narcotraffico? Non è solo roba da Paesi latinoamericani.
    Parola del giornalista Patrick Winn, che in 'Narcotopia' - in uscita in Italia domani, 24 settembre, per Adelphi con la traduzione di Svevo D'Onofrio e una prefazione di Roberto Saviano - ha svolto "un'indagine sul cartello della droga asiatico che ha sconfitto la Cia".
    Siamo in quella che ufficialmente è Birmania, ma nella realtà dei fatti è un'entità a sé: lo Stato Wa. Il suo popolo storicamente è stato uno dei più diffamati dell'Asia: persino Vasco da Gama, pur non avendo mai messo piede nel territorio, ne aveva descritto gli abitanti come dei cannibali. "Si sbagliava.
    I Wa non erano cannibali, bensì cacciatori di teste che praticavano l'impalamento rituale dei teschi dei nemici", spiega Winn, una pratica comunque abbandonata "solo qualche generazione fa - gli ultimi teschi sono stati mozzati in qualche momento tra la Beatlemania e la disco music - ma lo stigma rimane". Oggi la loro è una nazione a tutti gli effetti, con leggi proprie, strade, scuole e un esercito permanente. La cui economia, però, si fonda sul business dell'eroina e della metanfetamina che i Wa - da decenni nel mirino della Dea e della Cia - producono ed esportano in tutto il globo.
    Un'area le cui contraddizioni vengono ben espresse da Saviano nella sua prefazione, dove riflette sull'immagine (fornita da Winn nel libro) di una chiesa cristiana a Lashio, la cui campana è stata sostituita da una granata. Un simbolo di fede e violenza, due temi che si incroceranno più volte nel racconto.
    "Le ragioni per cui i Wa sono diventati nei decenni passati, e per parecchio tempo, i più grossi esportatori al mondo di eroina, sono molteplici. Ma se a domanda si rispondesse: grazie agli Stati Uniti e alla Cia, non si sbaglierebbe", scrive Saviano. "È dai tempi della Guerra Fredda che gli americani se ne vanno in giro ad armare gente, soldati per procura che, nelle intenzioni del danaroso committente, dovrebbero prendere a calci il nemico comunista, ma che nella realtà fanno un po' il cavolo che gli pare - prosegue - Il fesso si rivela assai meno fesso di chi voleva controllarlo. Il sempliciotto dimostra con quale semplicità si può fregare lo zio Sam".
    Winn racconta la vicenda dell'idealista Saw Lu, un Wa di religione battista pronto a sacrificare ogni cosa pur di unificare e modernizzare il suo popolo liberandolo dalla schiavitù dell'oppio, e della sua nemesi, Wei Xuegang, un genio del crimine. Ma non mancano i punti di vista della Dea, che combatte il traffico di droga, e della Cia, che invece lo sfrutta per i suoi obiettivi geopolitici. Anche perché Winn ha usato loro documenti (già declassificati oppure "ottenuti attraverso metodi non convenzionali") per raccontare al meglio questa storia. Fino ad arrivare al livello di Cina e Stati Uniti, che manovrano tutti gli attori in campo, finanziandoli e armandoli per poi sbarazzarsene quando non sono più necessari.
    Non senza una sana dose di umorismo, nel suo reportage Winn narra di questa minoranza indigena che, perseguitata, si avvale dell'unico mezzo a sua disposizione - il papavero da oppio - per conquistare dignità, patria, un governo autonomo. E, nonostante sia evidente che la droga da loro prodotta abbia distrutto tantissime vite, alla fine è difficile non fare il tifo per l'indipendenza dei Wa.
   

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