Inizia a New York con un "Grüezi" - il "Ciao" della Svizzera tedesca - la storia del Festival del Jazz di Montreux.
Ed è anche la storia del suo visionario fondatore Claude Nobs, un ragazzo di Montreux che, senza conoscenze nel mondo della musica, trasforma la cittadina svizzera incastonata fra il lago e le montagne nella mecca del pop e delle rock internazionali.
"Montreux è stupenda, ma così
noiosa!": l'ente del turismo per cui Claude lavora è alla
ricerca di un pubblico più ampio per la "riviera svizzera". La
grande passione di Claude è il jazz, così lancia l'idea di un
festival per la città. Ha un budget di 10mila franchi. Vola in
America e propone l'idea alla sua etichetta preferita, la
Atlantic Records. Il caso vuole che il presidente della casa
discografica, Nesuhi Ertegün, sia figlio dell'ambasciatore turco
in Svizzera. Da qui, il loro "grüezi". Ertegün lo prende in
simpatia, intuendo le potenzialità del festival come cassa di
risonanza europea per i suoi artisti. Inizia così, nel 1967, la
storia del festival di Montreux.
Le voci di chi c'era e le immagini d'archivio - un patrimonio
Unesco di 5000 ore di registrazioni inedite - si intrecciano
nella serie in tre puntate "They all came out to Montreux", in
onda da martedì 30 aprile alle 23.05 in prima visione su Rai5,
in occasione della giornata internazionale del jazz.
Al centro della prima puntata i protagonisti del jazz e del
blues, tra cui Aretha Franklin, Ella Fitzgerald e Nina Simone,
ma anche quelli del rock, a partire dai Ten Years After, i Led
Zeppelin e i Deep Purple. Non a caso il titolo della serie è una
citazione dalla loro canzone "Smoke on the water", ispirata
all'incendio che nel 1971 distrugge il casinò di Montreux, fino
a quel momento sede dell'evento, dove la band avrebbe dovuto
registrare il proprio album "Machine Head". Montreux è un faro
di inclusione e diversità, dove tutti si sentono benvenuti e i
più grandi ci passano. Il produttore Quincy Jones lo definisce:
"La Rolls Royce di tutti i festival del mondo".
Nobs non ha paura di innovare il festival e aprirsi ad altri
generi. Come racconta il musicista Herbie Hancock: "Per
carattere a Claude piaceva rischiare e il pubblico ne
condivideva l'approccio". Perché l'obiettivo di Claude Nobs è di
unire persone che non si sarebbero mai frequentate: "Per me è
una grande festa, la festa del Jazz, dei musicisti, del
pubblico. La mia gioia più grande è sapere che gli altri sono
felici". Thierry Amsallem, compagno di vita di Claude Nobs e
curatore della fondazione a suo nome, dice: "Claude sarà stato
anche ingenuo, ma lui parlava col cuore, faceva quello che
sentiva. Non spiegava, lui faceva". In una delle ultime immagini
che lo riprendono, davanti allo specchio lui chiede a se stesso
quale sia il sogno: "È quello che sogno da una vita: provare a
rendere felice la gente condividendo ciò che abbiamo. Non
volevamo tutti diventare artisti?".
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