Il dilagare del nuovo antisemitismo o le ultime vicende accadute in Olanda? "Non sono cose 'belle' da vedere. Da uomo le combatto e le contrasto con tutta la forza che ho nel corpo. Ma questo spettacolo non è una denuncia, è uno spunto per sopravvivere, per accettare e vivere questo mondo. È un messaggio di vita e di speranza". Così Raoul Bova racconta Il nuotatore di Auschwitz, spettacolo scritto e diretto da Luca De Bei, che, nel pieno del successo del suo Don Matteo su Rai1, lo riporta a teatro.
Ispirata alla storia vera del primatista mondiale francese Alfred Nakache e al libro Uno psicologo nei lager dell'austriaco Viktor E. Frankl, entrambi prigionieri nel campo di concentramento nazista, la pièce - prodotta da Il Parioli e Enfi Teatro - arriva al Parioli Costanzo di Roma, dal 27 novembre all'8 dicembre. "Era tempo che cercavo un progetto teatrale", racconta Bova, presentando lo spettacolo insieme a Fabrizio Musumeci e Michele Gentile, rispettivamente direttore commerciale e direttore generale e patron del Teatro Parioli Costanzo. "Poi quest'estate - dice - sono rimasto forzatamente fermo per un problema al menisco e ho cominciato a riflettere. A volte uno stato d'animo particolare ti può mostrare cose che non hai mai visto o farti provare emozioni per te nuove. Ne ho parlato con Luca De Bei. Volevo che il teatro rappresentasse un messaggio e non una semplice performance, anche per darmi delle risposte. Volevo che l'obbiettivo non fossero le critiche o i risultati, ma comunicare un senso di vita, di voglia di riuscirci. Se anche solo a uno spettatore arriverà tutto questo, ne sarà valsa la pena". Dalla "suggestione di Raoul" e dal suo "passato da nuotatore", prosegue De Bei, è nata l'idea di intrecciare due esistenze, quella dello psichiatra Frankl e quella del recordman Nakache. Il primo, con la sua lettura sull'esperienza vissuta e su come alcuni prigionieri, proprio come Nakache, riuscirono a superare quella prova terribile. Il secondo, con la sua storia di campione prima escluso dai campionati francesi del 1943 perché ebreo (dove ricevette però la solidarietà dei colleghi, che non si presentarono alle gare), poi detenuto numero 17276 ad Auschwitz dove perderà la moglie Polette e la figlia Annie. Ma anche uomo capace di rinascere , tornando a gareggiare alle Olimpiadi Londra. "È una storia di resilienza e amore per la vita - aggiunge De Bei -. È vero che sono passati 80 anni, ma certi fatti non possono diventare storia passata. Non parlo solo di antisemitismo, ma anche di quello che sta accadendo a Gaza".
In scena Bova passa da un personaggio all'altro, ma si fa anche interprete per il pubblico, in una personale prova da attore. L'idea dello spettacolo, prosegue, "forse parte anche dal mio essere genitore. Oggi si sentono continuamente notizie di violenza, bullismo, femminicidi, omicidi. Questo è un modo per dire a chiunque che anche in momento difficoltà si può trovare la forza di uscirne, che se c'è da combattere, si combatte, ma non ci si deve lasciar andare". Il nuotatore di Auschwitz è poi l'occasione di lavorare per la prima volta con suo figlio Francesco, autore delle musiche. "Ha studiato a Berlino tre anni e mezzo e ora si è laureato - racconta -. Come tutti i giovani vuole fare musica moderna, il dj, ma è nato per comporre colonne sonore. Già a Berlino aveva scritto le musiche per un cortometraggio di un amico, che è stato premiato. È stato Luca (De Bei ndr) a trovare nelle sue note la chiave giusta per il testo. Ad ascoltarle, ogni sera mi emoziono in scena. La sua musica mi dà una mano a interpretare i personaggi. E avere il sostegno di tuo figlio è meraviglioso. Mi rende orgoglioso".
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