"Ho visto il terrorismo e da
adolescente ho dovuto scegliere se adottare la violenza o
rinunciarvi: alcuni compagni di scuola hanno scelto di
imbracciare le armi, io per fortuna non sono caduto in
quell'abisso". Lo ha detto Fernando Aramburu parlando del legame
con la sua terra natale, i Paesi Baschi, dove è ambientato il
suo ultimo romanzo Il bambino (Guanda), presentato a
Pordenonelegge.
Il libro narra la storia vera di un'esplosione avvenuta in
una scuola elementare basca. "La tragedia avvenne quando avevo
21 anni. Scoprii in radio cos'era successo, e mi fece molta
impressione: la morte di cinquanta bambini nella propria terra
natale è qualcosa che non si dimentica".
Il progetto di Aramburu era di scrivere una serie di romanzi
sulla "gente normale" della sua terra natale, di cui Il bambino
è il quarto. "Il ricordo di questa storia mi ha parlato negli
anni, e finalmente sono riuscito a trovare il tono, la forma, i
personaggi giusti", ha spiegato. "Ne Il bambino si uniscono il
ricordo e la letteratura: quando ho iniziato a scriverlo sentivo
di avere il bisogno di esternare questo ricordo doloroso".
"Prima di iniziare a scrivere, prendo delle decisioni formali
sul tono e la personalità del testo. E solo quando l'ho deciso
mi occupo della storia. In questo caso, c'era un rischio forte:
non volevo scrivere una storia melodrammatica, inverosimile,
esagerata", ha precisato Aramburu.
"I baschi sono introversi, non parlano molto, ma sono molto
diretti, quindi ho scelto uno stile succinto, non barocco. Ho
usato un espediente narrativo: il testo è cosciente di essere un
testo, di rappresentare una storia, ha una propria voce, discute
con lo scrittore. Questi dieci interventi del testo, che ho
chiamato 'oasi di calma riflessiva', permettono di creare un
contrappeso rispetto al grande carico emotivo della storia
stessa. In questo modo non ho scritto un melodramma pieno di
lacrime e di tragedia".
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