L'importanza delle parole nel raccontare le storie di violenza e i femminicidi sui giornali o in televisione, perché anche i media hanno un ruolo nel contrasto alla violenza contro le donne.
Si intitola proprio 'Il potere delle parole' il convegno promosso da Cadmi, la Casa delle donne maltrattate di Milano che dal 1986 si occupa di aiutare, sostenere ed ascoltare le donne vittime di violenza, nel corso del quale alcuni giornalisti si sono confrontati sulla loro responsabilità nel raccontare questi fatti.
Dopo un femminicidio, alcuni titoli dei giornali o dei tg
hanno parlato di "donne che amano troppo, che rimangono troppo
col violento, di donne che non denunciano fino a chiedersi se
non siano loro con comportamenti esasperanti a provocare questo
- ha spiegato Manuela Ulivi, presidente di Cadmi -. La gelosia è
ancora una cosa che giustifica e riduce la gravità del reato".
Come cambiare quindi questo racconto che diventa anche una forma
di cultura generalizzata? Serve innanzi tutto formazione per i
giornalisti, di questo è convinta Tiziana Ferrario, giornalista
e scrittrice, secondo cui "bisognerebbe introdurre per chi si
occupa di comunicazione come materia obbligatoria quella di
utilizzare un linguaggio appropriato rispetto al tema della
violenza. Penso ad esempio al Manifesto di Venezia, questi temi
devono essere materia di esame e vanno approfonditi".
Una posizione che vede d'accordo anche Giulia Siviero,
giornalista de Il Post: "Bisogna cominciare a studiare, ci sono
dei decaloghi con delle regole che si possono iniziare a
seguire. Esiste poi, soprattutto in alcuni giornali
internazionali, una figura professionale che rivede i pezzi che
vengono pubblicati e decide se sono stati scritti nel modo
giusto o sbagliato".
Alcuni titoli che sono apparsi sui giornali "sono la
riproposizione di tutti gli stereotipi che riguardano la
violenza sulle donne - ha osservato Giulia Bosetti, giornalista
di Presadiretta -. Ci sono tutta una serie di stereotipi che noi
media proponiamo e quindi siamo causa ed effetto di queso tipo
di cultura e la alimentiamo a volte con delle scelte
editoriali". Il giornalista e conduttore di Quarto Grado,
Gianluigi Nuzzi, parlando di come viene raccontata la violenza
contro le donne ha spiegato che "raccontare il movente di un
fatto non significa giustificarlo, la parola raptus non esiste
ma il movente sì. Io racconto la normalità delle donne per far
capire che certe tragedie possono accadere in qualsiasi contesto
culturale. Sicuramente si può fare di più".
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