La destra al governo potrebbe (e dovrebbe) fare una politica culturale, di cui invece non si occupa, limitandosi a occupare poltrone.
È una denuncia, ironica e anche divertente, ma non per questo meno dolente, quella di Alberto Mattioli, giornalista, critico musicale e scrittore che ha firmato il pamphlet 'Destra maldestra.
La spolitica culturale
del governo Meloni' (Chiarelettere, pp. 120, 12,90 euro).
Senza preconcetti ideologici, Mattioli fa una dinamica di
quanto accaduto dall'insediamento del governo, quando il primo
ad essere ricevuto a Palazzo Chigi fu Pino Insegno. E lo fa
senza risparmiare critiche alla sinistra che strilla "per la
lottizzazione sistematica di ogni poltronissima, poltrona,
sedia, strapuntino. Ma, in questo caso, dopo aver lottizzato a
sua volta per decenni, quindi ancora con una bella dose di
ipocrisia" e grida al fascismo, cosa "controproducente" perché
sposta sul piano ideologico un discorso empirico della
valutazione dei risultati. Sintetizzando: il ministro della
Cultura Gennaro "Sangiuliano and friends non vanno criticati
perché forse sono stati fascisti. Ma perché sono sicuramente
mediocri".
Esempio di mediocrità è la scelta del ministro (che Mattioli
chiama Genny-la-Gaffe ricordando episodi come l'assicurazione
data alla premiazione dello Strega, di cui era giudice, che
avrebbe letto i libri o la definizione di Dante Alighieri come
fondatore della Destra) di scegliere come consulente per la
musica non Riccardo Muti (Daniele Gatti, Riccardo Chailly,
Michele Mariotti....) o, volendo una donna, Speranza Scappucci,
voluta come direttore principale ospite dal Covent Garden di
Londra, ma Beatrice Venezi, che ha poco curriculum e "non è un
celebre direttore d'orchestra che è anche di destra. È un
direttore d'orchestra diventato celebre perché è di destra". E
poi altri esempi sono ancora la bagarre dei teatri di Roma, il
tentativo fallito di spostare Stephane Lissner dal San Carlo di
Napoli. Impossibile non affrontare il tema di Roberto Vannacci e
di una destra che sembra prediligere lui al colto seppure
rutilante Vittorio Sgarbi.
E fin qui il quadro della situazione, ma Mattioli prova anche
a spiegare cosa si potrebbe fare. Intanto smettere di guardare
al passato, "non fermarsi alla gestione del potere ma elaborare
il futuro". Conservare quello che di buono c'è (evitando di
cancellare iniziative che funzionano come il bonus Cultura per i
diciottenni), mettendo "alla guida dei musei degli storici
dell'arte con i loro bravi titoli accademici", selezionando "la
classe intellettuale non solo per affinità politiche" ma anche
per competenza e merito e insomma pensando "a teatri e musei,
archivi e biblioteche come qualcosa di prezioso e fondamentale,
invertendo una volta l'ordine delle priorità e spendere non per
creare consenso ma per creare futuro". Però "a questa destra,
purtroppo, manca tutto quel che servirebbe per fare una vera
politica culturale. Per questo resta una destra maldestra".
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