(dell'inviata Mauretta Capuano)
Racconta il padre, il famoso e
riservatissimo psicoanalista junghiano Mario Trevi, il rapporto
con lui, il nuovo libro di Emanuele Trevi, La casa del mago
(Ponte alle Grazie) che sarà presentato in anteprima il 9
settembre al Festivaletteratura di Mantova, con Francesco
Piccolo. Ma come è arrivato a provare il desiderio di scriverlo?
È questo, per lo scrittore, che è interessante esplorare. "Se
pensi che ogni libro rappresenta una fase della tua vita è più
importante come ci sei arrivato che quello che ti ha fatto
capire l'averlo scritto. Io tendo a lasciarmi alle spalle i
libri una volta usciti. Certo li accompagno, mi piace che
vengano ristampati" dice all'ANSA Trevi.
Lo muove, spiega lo scrittore, un'esigenza artistica: "Quando
è il momento giusto di scrivere una cosa? La memoria non è il
conto corrente da cui prelevi perché è tuo. Devi arrivare a un
equilibrio tra troppi ricordi e troppo pochi. È quello il
momento in cui tu scrivi ed è importante perché ti dice molto di
te stesso". "Questo era il tempo giusto per questo libro. Certo
quando scrivi non sai mai dove arrivi, è un pensiero in atto, ti
porta in territori sconosciuti" racconta lo scrittore del suo
libro più personale, che esce a tre anni da Due vite (Ponte alle
Grazie) con cui ha vinto il Premio Strega.
Perché Il mago? "Perché mio padre era una persona
straordinaria in un mondo di persone che si assomigliano tutte.
Però si potrebbe dire anche di altri miei personaggi. Mi
piacciono molto le persone originali, diverse dagli altri, anche
nelle loro incapacità". Come in tutti i suoi libri Trevi mischia
i generi letterari e facendo il ritratto del padre, figura
solitaria, enigmatica con un suo retrobottega mentale, racconta
un mondo in cui convivono la prostituta peruviana Paradisa e
grandi personalità come Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli ed
Ernst Bernhard. "Lo sai come è fatto" è il mantra che ripete la
madre a Emanuele bambino che si perde per le calli di Venezia
con il padre.
"Faccio ritratti di persone importanti per me in senso
positivo. È diverso da quelli fotografici o pittorici anche se
mi sono sempre ispirato al ritratto nella pittura. Non faccio
autofiction, faccio proprio ritrattistica scritta, poi ci metto
me stesso perché viene meglio, se no mi toglierei volentieri.
Sono sempre storie relative ad un atto di ammirazione, dipingo
uno sguardo intorno" spiega. "È anche un libro molto su Jung in
cui risulta che lo psichiatra è molto più simpatico a me che a
mio padre che era un analista junghiano" racconta.
"Il protagonista de La casa del mago ha 48 anni, io ho 58
anni. Lo ho scritto dieci anni dopo gli avvenimenti. Non puoi
solo scrivere del passato. Ti devi guardare in un punto della
vita e possibilmente in pochi mesi, qui è l'inverno-estate 2012.
Tecnicamente è stato il mio libro più faticoso". Ma non c'è
differenza, rispetto agli altri, nel fare il ritratto di tuo
padre che per di più rappresenta una figura mitologica nella
società borghese come quella dello psicoanalista? "È chiaro che
c'è un affetto particolare, gli volevo bene, mi manca, però non
è molto diverso dagli altri ritratti. In me è molto labile,
nella vita affettiva, l'aspetto del legame di sangue, non lo
percepisco molto. Semmai il punto di vista del figlio ti può far
tornare indietro nel tempo, quando la tua percezione del mondo
era mitica. Puoi fare dei flashback di quando eri bambino. C'è
un pezzo in cui scappo da casa senza volerlo e vado a vedere il
concerto di Lou Reed. C'è mia madre, racconto come lo vedevano i
suoi amici. Tutte le cose vanno bene se ti ricordi cosa stai
facendo, se no ti perdi negli aneddoti" sottolinea lo scrittore
che adesso sta facendo un esperimento diverso: "Vorrei scrivere
un libro in cui ho bisogno di un tempo lunghissimo. È l'arte che
rende interessante la vita umana".
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