"Tra i vari muri del passato e del presente ce n'è ancora uno gigante da abbattere radicato nella nostra cultura, quello della violenza, la cui distruzione richiede un impegno collettivo": è la riflessione fatta da Kasia Smutniak all'incontro 'Chiediamoci perché - Dialoghi e scambi sulle radici della violenza contro le donne', organizzato da Pomellato e patrocinato dal Comune di Milano.
A livello storico, ha spiegato la docente dell'università di Firenze e Pisa Elvira Valleri, "l'uomo sente il bisogno di controllare e plasmare la materia femminile secondo un modello patriarcale".
Interessante
la testimonianza di Michele Poli, presidente del Centro di
Ascolto uomini Maltrattanti di Ferrara: "Storicamente mentre le
donne si interrogavano sul loro ruolo, gli uomini non si sono
mai messi in discussione. L'uomo che abbandona il modello
patriarcale ha paura di perdere il suo status, solo un percorso
di crescita personale che non stigmatizzi la violenza come una
malattia potrà condurre al cambiamento".
Di strada da fare ce n'è ancora tanta: "Da un'indagine Istat, -
ha detto Fabio Roia, presidente del Tribunale di Milano - 7
donne su 10 non sanno riconoscere la violenza, soprattutto
quella di natura psicologica che è confusiva e manipolatrice. La
denuncia è l'unico strumento per uscirne, manca la
consapevolezza per un fatto antropologico, scientifico e
culturale che esercitare violenza su una donna sia un crimine".
"Credo che il genere maschile - ha concluso Manuela Ulivi,
Presidente Cadmi - non abbia ancora accettato l'indipendenza
delle donne che ormai sono presenti in tutti i campi, e non
abbiano ancora accettato il fatto che molte donne esprimono oggi
liberamente la loro volontà. C'è ancora in senso di riserva
verso queste donne, ritenute pericolose, e quindi da tenere
sotto controllo. E questa volontà spesso si traduce in violenza.
È necessario che a questo "perché" comincino a pensare anche gli
uomini".
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