"Voglio che i miei film diano l'impressione di essere stati girati con la febbre a 40": lo sosteneva Francois Truffaut, tra le figure maggiori della Nouvelle Vague, l'uomo che amava le donne (per citare un suo celebre film), ma soprattutto il cinema, il suo "maestro di vita".
A trent'anni dalla morte, Parigi ricorda il suo regista preferito - scomparso il 21 ottobre 1984, a soli 52 anni, per un tumore al cervello - con una mostra e una retrospettiva dei suoi film alla Cinematheque francaise.
Per l'occasione ci saranno anche tavole rotonde e dibattiti, oltre alla riedizione dell'integrale del suo lavoro in dvd.
In esposizione fino al 25 gennaio sono presentati estratti di film, fotografie, interviste, oggetti e costumi di scena, sceneggiature con le sue annotazioni personali, libri, disegni e documenti d'archivio provenienti dalle collezioni della Cinematheque. Mentre in sala vengono programmati fino al 31 dicembre tutti i suoi 21 film.
Il percorso si apre con la proiezione di qualche estratto de 'La nuit americaine' (Effetto notte, 1973) che vinse l'Oscar per il miglior film straniero, dove Truffaut è regista e attore al contempo, autofilmandosi al lavoro mentre parla agli attori, corregge una posa o un gesto della bella Jacqueline Bisset.
"Bisognava cominciare da Truffaut all'opera, vederlo sul set, perché è questa l'essenza stessa del suo lavoro - ha spiegato il direttore della Cinematheque, Serge Toubiana, che ha curato la mostra - Per lui il cinema era un piacere e il mezzo di rendere interessante la vita".
Nato nel 1932 nel quartiere di Pigalle, da padre ignoto, Truffaut ha avuto un'infanzia agitata e sofferta che sarà lo spunto a soli 27 anni, per la realizzazione del suo primo film autobiografico 'Le 400 coups' (I quattrocento colpi') premiato al Festival di Cannes nel 1959, e che ebbe un successo di critica immediato aprendo la strada alla Nouvelle Vague. E' anche l'inizio della collaborazione e dell'amicizia con il giovane Jean-Pierre Léaud, suo attore feticcio e alter ego cinematografico, che sarà tra l'altro il protagonista della saga Antoine Doinel, dove il regista racconta in diversi film la storia dello stesso personaggio nell'arco di un ventennio, in una sorta di educazione sentimentale.
Tra gli altri capolavori cinematografici si ricordano 'Jules e Jim' (1961), 'Fahrenheit 451' (1966), 'La sposa in nero' (1967), 'L'uomo che amava le donne' (1977), e 'L'ultimo metrò' (1980) che vinse dieci Cesar, gli Oscar del cinema francese.
L'esposizione rende omaggio anche alle muse di Truffaut, le donne che sublimava sullo schermo e di cui spesso si innamorava come Jeanne Moreau, Claude Jade, Catherine Deneuve, Marie-France Pisier, Fanny Ardant (da cui ha avuto una figlia, Josephine) e Isabelle Adjani. Per lui "il cinema è l'arte di far fare delle belle cose a delle belle donne". Ci sono poi le musiche dei suoi film, gli articoli per la rivista Cahiers du cinema, la ricostruzione del suo ufficio, con tanto di poltrona, scrivania e la collezione di Tour Eiffel in miniatura. Fino alla sua passione per Alfred Hitchcock "che sa girare le scene di morte come scene d'amore", con il quale ha pubblicato un lungo libro-intervista, e a quella per Roberto Rossellini "l'uomo più intelligente che abbia conosciuto" di cui nel 1956 fu assistente alla regia per progetti mai terminati.
"Truffaut ha filmato cose essenziali, l'amore, l'infanzia - ha proseguito Toubiana - La sua morte ha lasciato un gusto amaro, di incompiuto, di malinconia nel cinema francese. Quanti cineasti s'ispirano ancora alla sua opera!". La mostra si chiude appunto con la proiezione di qualche sketch di attori di oggi chiamati a recitare alla Truffaut.
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