Tre ore piene.
Di musica, ma non solo.
Di emozioni, di scommesse fatte e vinte, di sogni che hanno preso forma, di timori che sono stati superati, di festeggiamenti mascherati da non-festeggiamenti (o viceversa).
Daniele Silvestri, dopo un'attesa durata 25 anni, ha debuttato ieri sera - non senza un po' di batticuore previgilia - a Roma (e non poteva essere altrimenti) con La Terra dal vivo sotto ai piedi, il suo primo tour nei palasport. Tre ore, che sarebbero potute diventare quattro o cinque per l'intensità, l'energia e la passione che ci hanno messo gli artisti sul palco e il pubblico sugli spalti. "Ma poi diventa sequestro di persona", scherza durante il live il cantautore, immaginando per la nuova avventura un palco senza confini, senza quinte, aperto su tutti i lati e al centro del parterre. E lui al centro su una piattaforma girevole coperta di terra, richiamo al titolo dell'ultimo album (La Terra sotto i piedi), circondato da 9 musicisti e accompagnato in tutte le date del tour dalle incursioni del rapper Rancore, con il quale ha condiviso anche l'esperienza sanremese e il brano Argentovivo (in video anche Caparezza, Manuel Agnelli e Shorty, mentre sul palco è arrivato Andrea Vincenzo Leuzzi degli Otto Ohm).
Il tour coincide con i 25 anni di carriera di Silvestri, ma assicura lui, è un caso, "ce ne siamo resi conto solo a progetto già iniziato". E a dimostrazione di ciò, è uno show costruito intorno all'ultimo disco. Non mancano le concessioni all'amarcord, in particolare con un mini-concerto di 37 minuti a metà del live, con brani in ordine cronologico dal 1994 al 2016 (si parte da Dove sei per arrivare a La mia casa, passando da Desaparecido, Occhi da orientale, 1000 euro al mese, Monetine) e una carrellata di immagini a ripercorre quegli anni. La caduta del muro di Berlino e la serie cult il principe di Bel Air, Falcone e Borsellino e le stragi di mafia, Kurt Cobain, il rigore sbagliato da Baggio ai Mondiali, Bettino Craxi (fischiato), il magistrato Antonio Di Pietro e Tangentopoli, la discesa in campo di Silvio Berlusconi (fischiatissimo). E poi un giovane Silvestri al Festival di Sanremo del 1995 con L'Uomo col megafono. "Alcuni degli eventi di quegli anni hanno determinato quello che è successo poi e quello che siamo diventati", sottolinea l'artista prima di lasciare spazio al videoracconto che ha traghettato gli spettatori fino ai giorni nostri: il sangue al Bataclan, il dramma dei naufragi e dell'immigrazione, l'incendio di Notre Dame e la caduta del ponte Morandi a Genova.
Quando sullo megaschermo compare il volto di Matteo Salvini il Palazzo dello Sport viene giù per i fischi, per emozionarsi subito dopo con le lacrime di capitan Totti il giorno dell'addio alla Roma. Greta Thunberg scatena gli applausi, così come Andrea Camilleri nel suo discorso sull'"altro, che non è altro che me stesso allo specchio".
Silvestri, del resto, non si è mai tirato indietro davanti all'impegno politico e sociale. Quando attacca L'appello, brano dedicato a Paolo Borsellino, in platea sventolano decine di agende rosse. "Non dobbiamo mai smettere di chiedere verità allo stato", dice, e quando intona Le navi, sull'immigrazione, spiega: "è diventata una canzone sovversiva, e allora la faccio proprio per quello e mi piace ancora di più farla".
A penalizzare un live potente, uno show costruito magistralmente, la pessima acustica del palazzetto di Roma.
"Sapevamo che ci saremmo dovuti confrontare con la situazione peggiore - ammette Silvestri -. Anche per questo alcuni brani più parlati sono stati lasciati fuori. Sono anni che si parla di metterci mano, ma finora non è stato fatto".
Si replica l'8 novembre a Padova, il 9 a Rimini, il 15 a Bari, il 16 a Napoli, il 22 a Milano, il 23 a Torino.
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