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In tutta Italia 650 mila famiglie aspettano un alloggio pubblico, solo nella capitale ci sono 6 mila sfratti all’anno. L’emergenza abitativa parte da lontano
Nel Lazio ci sono oltre 80 mila alloggi sparsi in tutta la regione, la maggior parte a Roma. Un patrimonio immenso e dagli alti costi di manutenzione. Nella sola capitale Ater Roma ha circa 45 mila alloggi, 800 sono vuoti e quindi allarmati per evitare eventuali occupazioni abusive. Mentre sono oltre 18 mila le persone in graduatoria in attesa di una casa popolare: il 40% da almeno 10 anni, con uno scorrimento lentissimo. E quasi 2 mila persone sono state sfrattate l’anno scorso: molto spesso per morosità incolpevole.
Giuseppe ha quasi 70 anni. Prima della pensione ha fatto, dice, uno dei lavori “più brutti”: per 42 anni “dentro a una macchina blindata”. È un poliziotto, di quelli assegnati alle scorte di tanti magistrati antimafia: anche di Giovanni Falcone. Ora, dopo 17 anni, rischia di restare senza un tetto, cacciato da un alloggio “di edilizia residenziale agevolata” destinato proprio alle forze dell’ordine. Lo sfratto è saltato già un paio di volte ma la spada di Damocle è sempre lì, a una manciata di giorni. E l’alternativa? Semplicemente non c’è.
In Italia 650 mila famiglie aspettano un alloggio pubblico, mentre un terzo dei nuclei in affitto spende per l'abitazione il 40% del reddito. A dirlo è l’Ance, Associazione nazionale costruttori edili, nel rapporto "La città è per tutti", elaborato su dati Istat.
A rimpolpare questi numeri sono, tra l’altro, gli sfratti. Nel 2023 sono stati emessi nel Lazio 5.870 provvedimenti di sfratto, il 18,8% in meno rispetto all’anno precedente. 5.730 sono state le richieste di esecuzione all’ufficiale giudiziario e 2.551 gli sfratti eseguiti (-25%). Gli sfratti sono diminuiti in tutta Italia rispetto al 2022: ma quell’anno aveva visto un aumento percentuale del +218,6% rispetto al ‘21, e il 2021 a sua volta aveva visto un rialzo del +81% rispetto al 2020, l’anno dello stop agli sfratti causato dalla pandemia.
Gli sfratti, di fatto, sono triplicati in pochi anni: nel 2023, nella sola Roma, sono stati emessi più di 5 mila provvedimenti, di cui oltre 3 mila per morosità, secondo i dati del ministero dell’Interno. Nello stesso anno, più di 2 mila sfratti sono stati effettivamente eseguiti. Nel mentre, il governo di Giorgia Meloni, con la sua prima legge di bilancio, ha azzerato i fondi per il contributo affitto e la morosità incolpevole.
Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha annunciato che sosterrà la proposta di moratoria sugli sfratti attraverso l'intervento del governo. “L’aumento degli sfratti sta mettendo in strada famiglie e lavoratori incolpevoli, vittime di un contesto economico insostenibile e della mancanza di politiche adeguate su affitti e abitare, del dilagare degli affitti brevi”, ricorda l’associazione Nonna Roma. Bisogna “fare in fretta”, il Giubileo è alle porte e “serve anche attuare il piano casa a partire dalla costruzione di una vera agenzia sociale per l'abitare, l'istituzione del fondo di garanzia e la revisione del sistema di welfare abitativo”.
“Senza avere una politica nazionale strutturata è impossibile sciogliere i nodi della questione abitativa. E allo stato attuale non c’è nessun tipo di politica”, spiega all’ANSA Enrico Puccini, architetto romano ed esperto di edilizia residenziale pubblica. Il suo blog “Osservatorio Casa Roma” è un punto di riferimento per chiunque voglia (provare a) capirci un po’ di più nell’intricata giungla di un’emergenza che parte da lontano.
Negli anni ‘90 è “saltata” la tassa di finanziamento della Gescal - Gestione case per i lavoratori, fondo destinato alla costruzione e all'assegnazione di case a lavoratori e lavoratrici e alle loro famiglie. È arrivato poi il contributo all’affitto, istituito dalla legge 431/98 e a sua volta recentemente definanziato. “Oggi siamo privi di strumenti di politica della casa. E in verità anche di una visione strategica”, spiega Puccini.
Durante tutta la Prima Repubblica, negli anni ‘90 e fino a oggi lo Stato italiano “ha puntato prevalentemente su un fattore: trasformare gli affittuari in proprietari. È stato il nostro grande asset”. Un’operazione riuscita, con “una politica forte di sussidi, sgravi, nuove costruzioni, edilizia agevolata”: a Roma negli anni ‘60 i proprietari delle case rappresentavano solo il 30% del totale, oggi sono l'80%. Risultato? Ora il mercato delle locazioni è "estremamente ristretto e quindi reagisce malissimo alle sollecitazioni: è evidente per esempio nel rapporto con le locazioni turistiche”, prosegue l’architetto.
Secondo l’Agenzia delle Entrate il mercato delle locazioni a Roma, tolte quelle pubbliche, è di circa 188 mila unità. L'intero stock immobiliare della capitale, invece, è di un milione e 400 mila alloggi. Le case in affitto/affittabili sono quindi il 13,4% del totale. “Una quota parte minima: è ovvio che se su 188 mila alloggi apro 30 mila locazioni turistiche c’è un impatto estremamente violento su quel mercato. E infatti a Roma non si trova più una casa in affitto”. E il mercato delle locazioni si sta continuando a comprimere: “È dagli anni ‘60 che i proprietari aumentano e i locatari diminuiscono”, dice Puccini. “Arriveremo a un valore soglia, o forse ci siamo già, in cui gli affittuari sono il minimo di popolazione che proprio non può accedere ad altro”. Qui il bivio: “Vogliamo continuare a favorire la proprietà? O cominciare a investire anche sul mercato degli affitti con locazioni pubbliche anche se non alla massima redditività?”.
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“Quando ci siamo insediati la situazione delle case popolari - e più in generale delle politiche abitative - era drammatica: tutto fermo, niente assegnazioni, praticamente nessuna manutenzione né visione”, dice all’ANSA Tobia Zevi, assessore al Patrimonio e alle Politiche abitative del comune di Roma nella giunta di centrosinistra guidata da Roberto Gualtieri. “A distanza di tre anni possiamo dire di aver fatto un gran lavoro, ma dobbiamo anche riconoscere un elemento che non dipende da noi: l'emergenza abitativa sta aumentando”. A Roma “per ragioni note come il Giubileo, il turismo e l'afflusso di tanti investimenti da fuori”, ma anche in tutta Italia e all’estero. “Occorre una collaborazione interistituzionale che parta dall'Europa, raggiunga il governo, poi la regione e i comuni. Senza, sarà difficile dare risposta alle tante persone che rischiano di non avere un tetto sulla testa”, dice Zevi.
Sono quasi 30 mila i nuclei familiari che hanno richiesto al comune di Roma un contributo per pagare l’affitto nel 2022, mentre i sindacati denunciano un “azzeramento” del Fondo nazionale per l'affitto a sostegno dei nuclei familiari più poveri e in condizioni di disagio abitativo da parte del governo. E sono 23.420 le persone “senza tetto e senza fissa dimora” censite dall’Istat al 31 dicembre 2021 nei 121 comuni dell’area metropolitana di Roma, mentre un censimento di aprile 2024 di Istat e Roma Capitale ha individuato 2.204 persone che passavano la notte in strada nell’area dell’anello ferroviario di Roma, comprese le stazioni di Roma Ostiense, Tiburtina, Trastevere e Tuscolana e nei quartieri residenziali del X Municipio (Ostia). E poi c’è la famosa graduatoria. Sono 18.500 i nuclei in attesa dell’assegnazione di un alloggio popolare, conferma l’assessore Zevi. Nel 40% dei casi da più di 10 anni. “E dobbiamo aggiungere anche le circa 10 mila persone che a Roma vivono nelle cosiddette grandi occupazioni, cioè di palazzi terracielo”, dice Zevi. “Insomma, si arriva a qualche decina di migliaia di famiglie che con intensità diverse vivono in quella che chiamiamo precarietà abitativa o vera e propria emergenza”.
Nel Lazio ci sono oltre 80 mila alloggi sparsi in tutta la regione, dice all’ANSA Pasquale Ciacciarelli, assessore Urbanistica, Politiche abitative, Case popolari, Politiche del Mare della giunta guidata da Francesco Rocca. La maggior parte a Roma. “Una mole grandissima di immobili che devono essere manutenuti. Fortunatamente in questo periodo storico abbiamo avuto importanti flussi finanziari dal Pnrr, già partiti nella scorsa consiliatura, e stiamo continuando a monitorare affinché questi interventi possano essere portati a termine nel più breve tempo possibile”.
Ater Roma è la più grande azienda immobiliare d'Europa: “immaginate quanto sia complesso gestire tutto questo patrimonio”. Il totale degli alloggi di competenza di Ater Roma nella Capitale, dice l’azienda all’ANSA, è di 45.454: 44.335 sono di proprietà e 1.119 gestiti ma non di proprietà. “Circa 800 alloggi risultano vuoti e quindi allarmati per evitare eventuali occupazioni abusive. Di questi alcuni necessitano di essere ristrutturati, oppure sono posti sotto sequestro dalle autorità giudiziarie, o destinati all’Housing Sociale, a Roma Capitale per l’assegnazione, o alienati a norma di legge, o destinati a progetti Ater di riqualificazione degli immobili che necessitano lo spostamento di nuclei familiari”.
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La graduatoria per la casa popolare “è un importante indicatore dell’emergenza abitativa”, spiega Puccini sul suo blog. E lo scorrimento è lentissimo.
“Le dimensioni del fenomeno e la gravità dell'emergenza richiedono risposte forti”, dice Tobia Zevi. “Ma avremmo anche bisogno di conoscere meglio il fenomeno”. Per questo l’assessorato capitolino ha incaricato l’Università La Sapienza di realizzare una ricerca biennale “per conoscere le reali situazioni e le modifiche nella domanda, nell'offerta e nell'utenza”: i primi risultati verranno presentati a febbraio in una conferenza sulla casa a Roma. “Quello della graduatoria è il dato più noto ed eclatante, ma forse non è così in grado di fotografare la realtà”, ragiona l’assessore. “Questo è un bando del 2012, i cui criteri non sono aggiornati”.
L’amministrazione è al lavoro su un nuovo bando. Nel frattempo “la graduatoria è fatta di persone che sono molto spesso lì da tanti anni anche con pochi punti: in un mondo ideale dovrebbero avere una casa pubblica, la legge dice che ne hanno diritto, ma in quello reale probabilmente non andranno mai in assegnazione. E quindi sarebbe forse più utile fotografare le povertà aggiornate, anche quelle che non riusciamo a vedere”. Come chi viene sfrattato oggi e passa la notte in macchina con i figli: “Magari neanche la fa, la domanda di casa popolare”, dice Zevi.
“Bisogna lavorare sull’offerta, le abitazioni vanno rimesse a nuovo prima di poter essere assegnate, e lo stiamo facendo con una serie di fondi che sto riprogrammando per dare la possibilità ad Ater Roma di ristrutturare e rimettere gli alloggi sul mercato”, dice l’assessore regionale Ciacciarelli. Dall'inizio dell'anno “abbiamo fornito ad Ater Roma diverse decine di immobili. Chiaramente pochi rispetto alla grande richiesta. E in più stiamo cercando di progettare nuove unità abitative: non più stile Corviale, ma sulla scia delle città-giardino. Per quartieri con tutti i servizi, vivibili e che diano dignità alle famiglie”.
In graduatoria, nelle prime 1000 posizioni, ossia coloro che teoricamente dovrebbero prendere casa nei prossimi anni, dice Puccini, “vi sono il 64% di nuclei composti da una persona”.
“Si sta riflettendo anche su una nuova organizzazione degli appartamenti per aumentarne la disponibilità, insieme all’ipotesi di poter utilizzare anche tutti i piani piloty”, spiega all’ANSA l’assessore regionale, che ha sottoscritto un accordo di programma con il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini e con il presidente della regione Lazio Francesco Rocca “che dà uno stock finanziario di ulteriori 55 milioni di euro per nuove costruzioni, l'acquisto o la ristrutturazione delle unità abitative esistenti. Abbiamo bisogno di ingenti finanziamenti su Roma, ma anche di dare ristoro alle province del Lazio”.
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“Quella dell'Imu è una barzelletta”, chiosa Enrico Puccini. Un’operazione che non regge. A Roma la proprietà delle case popolari è per un terzo del comune e per due terzi dell'ex Istituto Autonomo di case popolari, un tempo IACP oggi Ater. “Le due istituzioni, evidentemente, fanno la stessa cosa: gestiscono case popolari che non danno una rendita ma addirittura sono un costo, perché gli affitti sono molto bassi e spesso i costi di manutenzione alti”, chiosa l’assessore capitolino Tobia Zevi. “Noi come comune ci occupiamo dell'assegnazione, Ater ci dà gli alloggi a questo scopo. La contraddizione è che mentre il comune non paga l'Imu - perché appunto la sua è una funzione di alloggio sociale - l’Ater paga la tassa di proprietà al comune”, dice Zevi. E questo fa sballare i conti dell’azienda, giuridicamente un ente economico con un bilancio. Non solo: “Sono tutte seconde case, cui quindi si applica pure la tariffa massima”, aggiunge Puccini. Nella legge si spiega che l'edilizia sociale è esentata dall’Imu, ma tecnicamente le case popolari si definiscono edilizia residenziale pubblica e tanti comuni fanno appello a questa interpretazione per riscattare una tassa fondamentale per il loro, di bilancio. Tanti sono i contenziosi, finiti sempre male per le aziende regionali, “e allo stato attuale nonostante sia stato sollecitato il legislatore a livello nazionale ormai da anni da parte di sindacati, associazioni, associazioni dell'ente gestore, nulla è all’orizzonte”.
Ater Roma, dice l’assessore regionale Ciacciarelli, “paga 100 milioni di euro all’anno di Imu. “Abbiamo fatto alcuni incontri con il Comune di Roma per capire la possibilità di ridurre l’imposta. C'è una legge nazionale che prevede la non applicabilità dell'Imu per edifici di tipo sociale: accade per esempio a Latina. La capitale non la applica perché quella tassa chiaramente contribuisce al pareggio di bilancio del comune, è una posta elevata. Ma noi facciamo grande difficoltà”. Per anni la regione Lazio ha “dovuto anticipare somme all’Ater per cercare di operare la rottamazione delle cartelle”. I canoni sono bassissimi, tra i più bassi d’Italia, dice Pasquale Ciacciarelli. “I nuclei con minor reddito pagano €7,75 al mese, molte volte con acqua, luce e gas incluse: è chiaramente molto difficile portare avanti il pareggio di bilancio” pagando una tassa di proprietà magari di 1.500 l’anno. Ater “non solo deve incassare poco, ma deve pagare pure le tasse e garantire il pareggio di bilancio. E se Ater fallisce, a Roma finiscono per strada 40 mila famiglie”, aggiunge Enrico Puccini.
“Oggi ci troviamo come comuni e come regioni in un contrasto insanabile: una specie di derby - noi per chiudere il bilancio e le regioni per chiudere il bilancio delle Ater”, dice Zevi. “Dovremmo insieme riconoscere che questa contraddizione non ha senso e farne una partita governativa: abbiamo bisogno che le Ater possano liberare risorse per la manutenzione, l’assegnazione degli alloggi vuoti, non certo per pagare l'Imu ai comuni. La situazione è però cristallizzata e né i comuni né le regioni hanno grandi colpe: devono rispettare le norme e chiudere i bilanci. Ma questo governo si sta mostrando molto insensibile”, dice l’assessore Zevi. Anche il suo collega, in una regione di centrodestra, invoca, con altri toni, “un intervento legislativo chiaro da parte del governo nazionale per la non applicabilità dell'Imu alle Ater. È un po' un cane che si morde la coda”, dice Ciacciarelli. “Lo Stato che paga le tasse allo Stato. È pur vero che poi è proprio lo Stato però a doversi fare carico dell’eventuale mancato gettito Imu per i comuni”.
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Nel frattempo il comune di Roma ha avuto quest’anno il via libera per l'acquisto di 120 alloggi. Nel piano strategico per il diritto all'abitare del Campidoglio, l'acquisto e la costruzione di nuove case è “al centro delle nostre politiche”, mentre sulle dismissioni “siamo cauti”. “Ci rendiamo conto che oggi la nostra esigenza è quella di conservare il più possibile la proprietà pubblica”, spiega Zevi. Su Roma Capitale ci sono circa 7.500 alloggi in vendita, di cui venduti più o meno 1500. “La legge regionale impone, o meglio considera in vendita tutti gli appartamenti Erp in condomini misti”, ricorda l'assessore capitolino. “Questo perché veniva ritenuto che la gestione di appartamenti in condominio fosse più onerosa per il gestore, cioè l’Ater o il Comune di Roma. E la vendita di case popolari non è solo basata sull’idea di fare cassa, ma anche di creare mixité sociale. In un sistema ideale non bisogna criminalizzare la vendita, fa parte di un meccanismo di rigenerazione sociale del nostro patrimonio e di emancipazione attraverso la mescolanza”.
Gli immobili, spiega Ater Roma, vengono alienati per legge tramite piani vendita approvati dalla Regione Lazio. “La vendita può avvenire a favore dell’assegnatario o, su sua indicazione, di un componente il proprio nucleo familiare convivente o meno, entro il grado di parentela di volta in volta indicato dalla normativa di vendita di riferimento, con riserva del diritto di abitazione”. L’assegnatario “può decidere di non acquistare l’immobile e, a seconda della disciplina che ne regola la vendita, restare nell’alloggio, accedere ad un patto di futura vendita, o essere posto in mobilità”, dice ancora l’azienda regionale. Per gli immobili vuoti e all’interno di lotti o fabbricati in proprietà mista “nei quali è stata già formalmente costituita l’amministrazione condominiale autonoma oppure sia attiva la gestione condominiale da parte degli enti gestori, è prevista la vendita tramite asta pubblica”.
Ad oggi sono attivi o ancora in corso il Piano Vendita Immobili di Pregio, che comprende circa 3 mila immobili in 49 quadranti della città di Roma Capitale, e il Piano Vendita Lupi. Nel 2023 Ater ha alienato circa 569 immobili, tra vendite del patrimonio immobiliare ripartite per i piani vendita avviati e attivi e le aste.
“È un patrimonio nevralgico che permette la sussistenza dell’azienda regionale”, dice Ciacciarelli. “Deve essere valorizzato e non svenduto”. Per questo la Regione, assicura, ha fermato vendite “insensate”, con costi “a norma di legge, ma basati su una normativa molto vecchia”. Come quella della sede degli uffici di Ater Roma a lungotevere Tor di Nona 1. E “c’è una valutazione approfondita su San Saba: alloggi come quelli devono essere rivisti in termini di strutturazione del prezzo di vendita, tra norme vecchie e una speculazione immobiliare oggi molto importante”.
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Il tema della casa è complesso. Con molti protagonisti che, semplicemente, non dialogano: l’Ater, i dipartimenti del patrimonio, l'Agenzia delle Entrate, il catasto, la Regione. “Tutti i soggetti pubblici dovrebbero riunirsi all'interno di quello che era stato pensato con la legge 41 del ‘98, un osservatorio privilegiato sulle dinamiche in atto in città e per lo studio di nuove proposte”, dice Enrico Puccini. I dati ci sono, scomposti e non connessi: quindi inutili. Senza dati come è possibile improntare una strategia?”. “È un problema annoso, tra i primi che mi hanno sottoposto appena sono arrivato”, testimonia Ciacciarelli. “Non c'è comunicazione tra gli uffici delle Ater e quelli dei comuni. E parliamo di numeri importanti”. La strada è lunga e deve partire da lontano. “La questione della casa è molto sentita, come sappiamo, dalla popolazione che magari ha criticità d'accesso”, conclude Enrico Puccini. “Ma il tema dello sviluppo delle politiche abitative a mio avviso è strettamente correlato a quello della qualità urbana. Le periferie, o la maggior parte di esse, sono tutti agglomerati di case popolari: Corviale, Scampia, Tor Bella Monaca, Rozzolmerara”. Le politiche abitative non possono che essere collegate “all’uso che facciamo dei nostri centri storici, ormai in balia della turistificazione”. Il piano è quello delle politiche sociali e gestionali, “non frazionando le battaglie ma unendole. Solo così il diritto all’abitare potrà cominciare ad avere il peso politico che merita”.
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