Mettere i mafiosi di fronte a un bivio: essere fedeli a Cosa Nostra e pagarne tutte le conseguenze, con un sostanziale fine pena mai, oppure collaborare con lo Stato e cominciare così il processo di ravvedimento previsto dalla Costituzione. Questo l'obiettivo dell'ergastolo ostativo rafforzato all'indomani delle stragi per indurre boss e gregari a fare i nomi dei loro sodali e rompere il muro dell'omertà.
Uno strumento su cui nel tempo si sono appuntati dubbi e rilievi , anche in sede europea, ma che l'attuale governo intende difendere, come ha dimostrato con il suo primo decreto legge, varato a fine ottobre dello scorso anno con lo scopo di disinnescare una pronuncia della Corte Costituzionale che avrebbe potuto avere come conseguenza l'uscita dal carcere di capiclan. Ora la sua sorte è nelle mani della Cassazione, a cui la Consulta ha restituito gli atti perchè valuti se le sue osservazioni sulla illegittimità costituzionale delle norme siano state superate dalla nuova disciplina introdotta dal governo. In origine l'ergastolo ostativo impediva la concessione di qualunque beneficio penitenziario ai condannati- un esercito di un migliaio di persone costituite soprattutto da mafiosi e terroristi- senza collaborazione con la giustizia.
Nel 2019 si aprono le prime crepe: prima la Corte europea dei diritti dell'uomo stabilisce che la limitazione prevista per chi non collabora è contraria alla Convenzione sui diritti umani che vieta trattamenti inumani e degradanti, chiedendo all'Italia di modificare la legge; poi è la Corte costituzionale ad aprire ai permessi premio per i boss, a condizione che sia provato che abbiano reciso i loro legami con la criminalità organizzata e purchè sia dimostrata la loro partecipazione al percorso rieducativo. La questione nodale la pone alla Consulta qualche tempo dopo la Cassazione, che sulla scia di questa sentenza dubita che sia rispettosa della Costituzione la preclusione assoluta della liberazione condizionale per i boss.
La Corte costituzionale ad aprile del 2021 stabilisce che questo divieto assoluto è incompatibile con la Costituzione, ma si ferma a un passo dalla decisione, dando un anno di tempo al Parlamento per intervenire,termine che sarà ulteriormente prorogato senza che si arrivi a una nuova legge. Quando la deadline è imminente il governo Meloni vara un decreto per impedire le "scarcerazioni facili" e detta le nuove regole: per accedere ai benefici penitenziari i condannati per reati di mafia che non collaborano con la giustizia dovranno aver riparato il danno alle vittime e dimostrare di aver reciso i rapporti con i clan, allegando "elementi specifici", che consentano "di escludere l'attualità di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso".