Giovanni Falcone era un "magistrato nel sangue", non un politico, e andò via da Palermo non per abbandonare "la trincea", come diceva qualcuno criticandolo, ma perché "ormai" lì non poteva lavorare come voleva.
Così 30 anni fa Maria Falcone aveva parlato delle confidenze del fratello, in un'audizione al Csm pochi giorni dopo l'attentato a Paolo Borsellino.
Il verbale di quella sua audizione al "Gruppo di
Lavoro per gli interventi del Csm relativi alle zone più colpite
dalla criminalità organizzata", insieme a quelli di una trentina
di magistrati ascoltati tra il 28 e il 31 luglio 1992, sono
stati pubblicati a 30 anni dalla strage di via D'Amelio.
I documenti - in alcuni casi classificati come atti
riservati - riportano al clima di tensioni negli uffici
giudiziari di Palermo tra le due stragi in cui morirono Giovanni
Falcone e, dopo 57 giorni, Borsellino. In migliaia di pagine,
sono descritti i contrasti nella gestione delle inchieste più
importanti, le spaccature all'interno della Procura guidata da
Pietro Giammanco con il documento di otto sostituti che chiedono
un capo più "autorevole", i timori di nuove stragi.
"Io per due mesi sono stata zitta, perché Paolo Borsellino
così mi aveva consigliato" e "Paolo era un caro amico di
Giovanni": Maria Falcone racconta che il fratello, a casa sua
nei rari momenti di relax le aveva detto che a Roma avrebbe
potuto fare di più di quello che "ormai" poteva fare a Palermo
perché il procuratore Giammanco "non gli permetteva più di
svolgere il suo lavoro come avrebbe voluto lui farlo". E ancora,
che Falcone era "stanco delle contese sui giornali", che si
parlasse del "palazzo dei veleni", che si venisse a creare "una
situazione dalla quale la magistratura ne uscisse sconfitta, a
tutto profitto della mafia".
Il 28 luglio era stato ascoltato anche Pietro Giammanco, che
in difesa del suo operato, disse di avere "diretto l'ufficio con
la più assoluta trasparenza, adottando sistemi che sfido
chiunque a trovare in qualsiasi altra Procura". Aggiunse: "Ho
ritenuto sempre che i rapporti con Giovanni fosse più che
ottimi"; "capivo quanto sarebbe stato indispensabile l'apporto,
non mi faceva ombra, l'apporto di competenza, di esperienza, di
prestigio di Giovani per condurre l'enorme numero di nuove
indagini che si sarebbero riversate sulla procura".
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