Durante la pandemia in Piemonte
il sistema delle Rsa, in tutto 787 strutture, ha mostrato più
che in Lombardia le sue carenze, ora urge cambiarne il sistema,
integrandolo con la cura domiciliare, anche per evitare, che, in
caso di nuova ondata, tornino ad essere dei lazzaretti. Lo
sostengono i responsabili regionali di Spi-Cgil, Fnp-Cisl e
Uilp-Uil, Graziella Rogolino, Francesco Guidotti e Lorenzo
Cestori in una conferenza stampa davanti al Convitto Principessa
Felicita di Savoia, una delle Rsa col più alto numero di decessi
da coronavirus, si parla di 82,
"Potevamo essere davanti a qualsiasi Rsa piemontese -
spiega Rogolino - il problema è far capire alla Regione che deve
prendere a carico completamente la gestione delle persone non
autosufficienti, integrandola con il territorio e la medicina di
base. Non si dovranno mai più prendere gli anziani, magari i più
soli, metterli in una Rsa e dimenticarli". "Stiamo facendo, con
difficoltà perché ci sono pochi dati, una mappatura di tutte le
Rsa - aggiungono Cestori e Guidotti - per capire meglio cosa è
accaduto. Un dato che emerge, per esempio, è che vi è un 20% di
Rsa Covid free, è importante anche capire come è questo sia
stato possibile".
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