(di Alice Fumis)
"Non sono italiana. Posso solo
dire che sono un po' delusa per tutte queste donne che hanno
cercato di emanciparsi, di essere libere ed eleggono Meloni che
per me non è una donna emancipata". La regista tedesca
Margarethe von Trotta è a Trieste per presentare il suo ultimo
film Ingeborg Bachmann - Journey Into the Desert, con Vicky
Krieps e Ronald Zehrfeld, dedicato alla poetessa e scrittrice
austriaca, che sarà distribuito a breve in Italia da Movies
Inspired. In un incontro con la stampa risponde alle domande sul
suo ultimo lavoro e ripercorre la sua carriera, raccontandosi a
360 gradi, con un focus particolare sulle donne e
sull'emancipazione femminile, anche in Italia.
Inizia dagli anni '70 e dalla "responsabilità" che sentiva di
avere, a inizio carriera come regista, nei confronti delle
donne, che all'epoca "non avevano tante possibilità di parlare":
"Il mio primo film l'ho fatto nel '77, non c'erano tante registe
tedesche". Affronta quindi il tema della violenza di genere:
"spesso le donne non si rendono conto che la violenza
psicologica è più forte della violenza fisica".
L'occasione per un excursus su vita e carriera è il Trieste
film festival e in particolare la sezione Wild Rose, dedicata
quest'anno alle cineaste della Germania. Von Trotta racconta che
nei suoi lavori ha "scelto di parlare di donne tedesche" vicine
al suo background e confessa che dopo il Leone d'oro a Venezia
nel 1981 con Anni di Piombo "una produzione italiana mi ha
chiesto di fare un film su Evita Peron, ma come potevo visto che
appartiene a un mondo totalmente diverso dal mio?".
Von Trotta parla degli inizi, cioè quando "non facevo film
carissimi" e quando tra i cineasti tedeschi si era formato un
"gruppo molto coeso e solidale", con "Wim Wenders che si era
offerto di pagare il mio prossimo film in 35 millimetri" purché
non li facesse in 16. La regista racconta quindi i suoi 7 anni a
Roma, città di cui è "totalmente innamorata". "Poi - spiega - è
venuto Berlusconi al potere: avevo un amico italiano che non
voleva stare in Italia, avevo una casa a Parigi e siamo andati a
vivere là, ma mi è dispiaciuto lasciare Roma". Non ha dubbi a
elevare il cinema del dopoguerra italiano "il più bello e forte
del mondo" e, soffermandosi su quello tedesco, osserva: "Negli
anni 70 ha avuto l'attenzione del mondo, ma poi si è spostata
verso altri Paesi. Abbiamo avuto la nostra chance".
Si parla del passato, dunque, ma anche di progetti futuri:
"Non ho ancora la storia - ammette - ma voglio fare un film con
Barbara Sukowa e Vicky Krieps, una sarà la madre, l'altra la
figlia. Sono le mie attrici preferite. Vediamo se mi viene
qualcosa...".
Un passaggio infine sul movimento MeToo. "Prima di essere
regista sono stata attrice", all'inizio "avevo piccoli ruoli". E
ha ricevuto avance: ma "non l'ho mai fatto per avere una parte".
Il punto è, scandisce, "o sei brava o non sei brava: prendi la
parte perché sei brava non perché accetti di andare a letto con
qualcuno", "questo aspetto è dovuto cambiare, ma forse non
totalmente".
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