(di Alessandro Castellani)
Un'altra leggenda del calcio che se
ne va. Poco più di un anno dopo Pelé e a tre giorni da Mario
Zagallo che come lui e prima di lui diventò campione del mondoda
calciatore e poi da tecnico, e' morto Franz Beckenbauer. Per gli
italiani era l'avversario col braccio al collo all'Atzeca a
Messico '70, per tutti era 'Kaiser' Franz, l'imperatore del
calcio, modello dell'eleganza applicata al pallone e prototipo
del difensore moderno. Farà parte per sempre dei grandissimi del
calcio, non a caso la Fifa lo inserì nella lista dei migliori
dieci giocatori del ventesimo secolo. Ad illustrarne la
grandezza basta riguardare il suo personale albo d'oro: 3 Coppe
dei Campioni, Coppa Intercontinentale, Coppa delle Coppe,
campionati e Coppe di Germania con la maglia del Bayern, titolo
mondiale nel 1974 e titolo europeo due anni prima con la maglia
bianca della Nazionale, Pallone d'Oro come miglior calciatore
europeo in due occasioni (1972 e 1976, nella prima occasione
interrompendo la tripletta dell'altro grandissimo di quegli
anni, Johan Crujyff), campione del mondo nel 1990 anche come ct
della nazionale. Quella per la quale, da calciatore, aveva messo
insieme 103 presenze di cui le ultime 59 consecutive.
Numeri che non ne definiscono in pieno la bravura.
Beckenbauer era l'eleganza di palleggio, la coordinazione
perfetta, il lancio d'esterno a trovare il compagno smarcato.
Nato mediano, diventato libero, era giocatore moderno di un
calcio antico che entrava nel futuro, tanto da far dire a molti
che aveva reiventato il ruolo. E con quell'aureola, ingaggio'
epiche sfide con Johan Cruijff, del quale poi divenne amico, al
punto da andare a sciare insieme a Kitzbuehel, in Bayern-Ajax,
tre Coppe dei Campioni a testa per i due migliori club degli
anni '70, o nella finale mondiale Germania-Olanda del 1974.
Momenti di grande bellezza calcistica. Ma del Kaiser rimane
soprattutto l'immagine epica di lui in campo, a trascinare la
Germania, con il braccio al collo nella semifinale poi persa 4-3
contro l'Italia ai Mondiali di Messico '70. Una scena
indimenticabile; quella nazionale dell'Ovest viveva anche sulle
parate di Sepp Maier e i gol di 'Der Bomber' Gerd Muller, ma era
soprattutto Franz Beckenbauer. Il quale aveva fatto vedere di
quale pasta fosse fatto già quattro anni prima, nel torneo
iridato del 1966 in Inghilterra, quando aveva appena 20 anni ed
era già uno dei leader della squadra tedesca, avendo mostrato
eccezionali doti tecniche fino alla finale persa contro la
nazionale di casa per una 'svista' del guardalinee sovietico
Bakramov. Ogni suo intervento era un misto di perfezione
tecnica.
"Sapeva fare tutto bene e quando farlo", come di lui disse
Cruijff, e sui campetti di periferia, all'oratorio o per strada,
c'era chi provava a imitarlo tentando perfino di disimpegnarsi
con un braccio bloccato come lui all'Azteca. Ma nessuno ci
riusciva, troppo difficili quei gesti e troppo arcigno e
inelegante chi tentava di ripeterli.
Da mediano, forse il più tecnico della storia del calcio,
venne spostato a libero da Helmut Schoen con la nazionale, per
liberarlo da marcature da fare da subire, e fu l'apoteosi perché
divenne l'ideale del ruolo, a detta anche di ogni suo
avversario. Al calcio, nella Germania malridotta del secondo
dopoguerra, aveva cominciato a giocare per strada, con un palla
fatta di stracci, e in tanti si accorsero subito della sua
superiorità rispetto agli altri. Gli bastò un provino, a 13
anni, per essere preso dal Bayern, dopo che aveva scartato
l'idea di fare la stessa cosa con la squadra che allora
primeggiava in Baviera, il Monaco 1860: in una partita fra
squadre giovanili, Beckenbauer, che faceva parte di un altro
team, il 1906, fu protagonista di una rissa con quelli del 1860,
e ciò gli bastò per 'cancellare' quella società per sempre.
Così anche quando divenne l'eterna bandiera del Bayern non
rinunciò mai a quel sentimento di rivalità verso i 'cugini', nel
frattempo sprofondati nelle serie minori. Da calciatore divenne
un divo anche delle pubblicità, uno dei primi campioni
arricchitisi anche a suon di spot, e non poterono non accorgersi
di lui anche coloro che del profitto hanno fatto la regola di
vita, gli americani. C'era da lanciare il 'Soccer', i New York
Cosmos erano una sorta di Harlem Globetrotters del calcio, e
Beckenbauer finì a fare il compagno di squadra di Pelé,
all'altezza di O Rei e vincitore insieme a lui di campionati
anche in America, dal 1977 al 1980. Ma la carriera il Kaiser
volle finirla in patria, come aveva promesso a se stesso, e
chiuse con due annate nell'Amburgo. Poco dopo, vista la stima
che avevano di lui, la federcalcio tedesca gli affidò la guida
della nazionale, e lui la portò in finale ai Mondiali, di nuovo
in Messico, ma questa volta nel 1986 anno del trionfo di
Maradona. Perse 3-2 per una prodezza del 'Pibe' trasformato in
gol da Burruchaga ma si rifece quattro anni dopo a Italia '90, a
spese proprio dell'Argentina, con Maradona in lacrime. Lasciata
la panchina della nazionale nel 1993, dopo una breve parentesi
come allenatore dell'Olympique Marsiglia, tornò al Bayern come
vicepresidente, ma nel 1994 ne divenne allenatore e vinse il
campionato. Poi ne fu il presidente coronando un altro sogno.
Ultimo atto prima di entrare definitivamente nell'Olimpo del
calcio, con Pele', Maradona, Zagallo.
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