La procura di Genova ha chiesto
l'archiviazione per alcune ipotesi di falso ideologico per 20
persone, su 47, indagate nel filone d'inchiesta bis sulle
autostrade liguri nato dopo il crollo del ponte Morandi.
L'inchiesta riguarda i falsi report sullo stato dei viadotti, le
barriere antirumore pericolose, il crollo della galleria Bertè
in A26 (30 dicembre 2019) e il mancato rispetto delle norme
europee per la sicurezza nei tunnel.
I pubblici ministeri hanno verificato che al momento della commissione del falso i 20 non fossero presenti.
Restano in piedi le altre accuse. Nelle scorse
settimane i pm Walter Cotugno e Stefano Puppo hanno chiesto il
rinvio a giudizio per i 47 e per 12 di loro ha proposto il
patteggiamento. L'udienza preliminare inizierà il prossimo 9
novembre. Le accuse, a vario titolo, sono falso, frode,
attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo. Tra gli
indagati l'ex Ad di Aspi Giovanni Castellucci, gli ex numeri due
e tre di Autostrade per l'Italia Paolo Berti e Michele Donferri
Mitelli e Stefano Marigliani, ex direttore di tronco della
stessa azienda, tutti imputati al processo sul crollo del
viadotto Morandi.
Secondo gli investigatori della Guardia di finanza, coordinati
dai pm Stefano Puppo e Walter Cotugno, i tecnici di Spea
ammorbidivano i rapporti sullo stato dei ponti per evitare i
lavori. Era stato scoperto, inoltre, che le barriere
fonoassorbenti montate su alcuni tratti autostradali erano
difettose e si erano staccate causando problemi agli
automobilisti. Uno degli indagati aveva anche detto al telefono
che erano "attaccate con il Vinavil". Il 30 dicembre 2019 era
invece crollata una parte della volta della galleria Bertè,
nella A26. Si erano staccate quasi due tonnellate di cemento che
per fortuna non avevano colpito mezzi in transito. Anche in
questo caso per la procura i controlli non venivano fatti in
maniera adeguata. Le due società Aspi e Spea sono uscite
dall'inchiesta dopo avere patteggiato per questo filone circa un
milione.
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