Non è facile affrontare e portare in
scena un testo di Jon Fosse, il norvegese premio Nobel per la
letteratura 2023, per quella sua atmosfera gelida, quella rabbia
senza liberazione, quel tanto di assoluto negativo che segna
ogni cosa, ogni personaggio nel suo girare, vivere a vuoto, come
quel piatto di giradischi che alla fine in primo piano appunto
gira così, senza un senso, in questo allestimento de 'La ragazza
sul divano' firmato da Valerio Binasco per lo Stabile di Torino,
ora a Roma e poi (26 aprile - 5 maggio) al Biondo di Palermo e
(7 - 12 maggio) al Mercadante di Napoli.
Il suo nichilismo è in fondo l'ultimo approdo di quello
spaesamento esistenzialista contemporaneo e assenza di punti di
riferimento che va dall'ironia di Pirandello agli interrogativi
e attese di Beckett e il senso di minaccia di Pinter, ma nei
personaggi di Fosse è come fosse quasi azzerata ogni scintilla
vitale, specie nelle sue donne col loro disperato agire
autodistruttivo, mentre gli uomini sono spiazzati da tanto
sentire e soffrire.
Alla fine quindi rischiano di essere più che
personaggi, prototipi, maschere se vogliamo di una condizione,
tanto che sono indicati come Donna, Madre, Sorella, Zio, senza
un nome.
La Donna è la protagonista, è quella che ricorda e via via fa
comparire se stessa giovane e le altre figure famigliari come
attori del teatro mentale della sua memoria.
Così la vediamo
passare da Ragazza bloccata sul divano (interpretata da Giordana
Faggiano) che non sopporta nulla e non si sopporta, che odia e
invidia la Sorella (Giulia Chiaramonte) per il suo ribellarsi
attraverso il suo prostituirsi, bloccata in una sessualità
provocatoria e spudoratamente esibita, appunto a Donna senza che
nulla cambi. È senza speranza un tempo e ora, non sa stare con
gli altri e non sa stare sola, abbandonata dal marito (lo stesso
Binasco) come è stata abbandonata dal Padre, marinaio in giro
per il mondo, sempre assente, e dalla madre che che cerca di
sfuggire la solitudine con una storia col cognato, lo Zio delle
due sorelle, che sente a momenti un qualche imbarazzo per la
situazione (cui dà verità Michele Di Mauro). E quando sul finale
il marinaio fa ritorno inaspettato a casa e coglie sul fatto
moglie e fratello, si gira e se ne va, anche lui con una sua
disperazione e accettazione interiore (ben resa da Fabrizio
Contri) che sono l'assenza di ogni tragedia, di ogni senso
tragico, come per tutti.
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