Kasia Smutniak è una attrice polacca che "per scelta" vive in Italia con il marito Domenico Procacci famoso produttore cinematografico con Fandango.
"Quello che
stava accadendo nel mio Paese ad un certo punto non riuscivo più
ad accettarlo, a stare da parte e già dopo aver accompagnato
Diego Bianchi per il reportage di Propaganda Live avevo sentito
che stava scattando qualcosa e così ho deciso di ascoltare il
mio io profondo", racconta Smutniak presentando il suo
coraggioso documentario Mur, presentato al Festival di Toronto,
oggi alla Festa di Roma e dal 20 ottobre in sala, girato in
prima persona, con attrezzatura ultraleggera di telefonini e
piccole macchine cinematografiche.
Un viaggio pericoloso, sfidante, con "l'urgenza di
documentare quello che si stava cominciando a costruire, nel
silenzio generale, compreso quello dei giornalisti, ossia un
muro di confine in acciaio lungo 186 km e alto 6 metri tra
l'europea Polonia e la Bielorussia.
Un muro divisivo come sono
tutti i muri e come quello che sta accadendo in questi giorni
continua a dimostrare, un muro che ricordava quello del ghetto
ebraico davanti al quale sono cresciuta".
Smutniak si avventura nella zona rossa, nei boschi dove i
migranti provano a fuggire verso l'Europa, rimpallati
esattamente come in Green Border di Agnieszka Holland tra
Polonia e Bielorussia in situazioni di totale disumanita'. "Sono
andati a votare il 74% degli elettori una enorme percentuale,
donne e giovani - ha aggiunto commentando il recente
ribaltamento politico in Polonia con la coalizione centrista ed
europeista destinata a governare al posto del Pis - e questo è
un enorme risultato di speranza". In Mur Smutniak ha fatto una
scelta registica precisa nel suo bell'esordio: non fa vedere i
migranti spostando il focus su chi come lei è una spettatrice.
Da un viaggio così come si torna? "Diversi - risponde all'ANSA -
ho capito che devo continuare a raccontare storie urgenti come
questa". Mur non resterà il suo unico film.
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