Il vino dealcolizzato può
rappresentare un'opportunità di mercato per le aziende italiane.
Ma serve una corretta comunicazione: ad esempio in etichetta non
si faccia riferimento alla parola "vino", introducendo la
dicitura "bevanda ottenuta da uve". Questa, in sintesi la
proposta di Città del vino (associazione che rappresenta 500
comuni vitivinicoli in Italia) sul vino dealcolizzato, a tutela
delle aziende e dei consumatori. "Prendiamo atto delle novità
introdotte dal decreto del ministero dell'Agricoltura che regola
la produzione dei cosiddetti 'vini dealcolati' - sottolinea il
presidente Città del vino, Angelo Radica - ma vogliamo proporre
alcune riflessioni per eventuali modifiche che possano in futuro
migliorare la normativa che ne scaturirà. Intanto va
sottolineato in modo positivo il fatto che il decreto consentirà
anche ai produttori italiani di produrre vini dealcolati,
praticando la dealcolizzazione parziale o totale, considerato
che all'estero la pratica è già consentita. Questo - aggiunge
Radica - permetterà ai produttori italiani di competere alla
pari con quelli degli altri Paesi, ad esempio per la diffusione
di certi prodotti in nuovi mercati dove abitualmente non è
praticato il consumo di alcol anche per motivi religiosi".
Per Città del vino il decreto è "una equilibrata mediazione
per rispondere alle nuove esigenze di mercato, mantenendo al
contempo l'eccellenza e la tradizione dei vini italiani grazie
al divieto di dealcolazione per i vini Dop e Igp, al fine di
preservarne l'autenticità". Tra le richieste dell'associazione
l'indicazione della provenienza, per non perdere il legame con
il territorio e una comunicazione chiara "per spiegare bene al
consumatore le differenze che esistono tra i due prodotti,
considerando anche che il vino dealcolizzato, se viene consumato
in modo non corretto, può provocare effetti negativi, perché
togliendo l'alcol si va a togliere anche il principale
conservante naturale del vino".
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