Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla),
verso nuove possibilità di cura, offerte da un 'vecchio farmaco'
già in uso per altre indicazioni, per la forma genetica più
comune della malattia, quella causata da mutazioni del gene
C9orf72: è la promessa che arriva da un lavoro coordinato dal
National Institute on Aging (NIH) e pubblicato su Cell Genomics,
che ha visto la partecipazione italiana.
Lo studio suggerisce che l'acamprosato, farmaco già approvato
per il trattamento della dipendenza da alcol, è una potenziale
terapia per rallentare la progressione della malattia nei
pazienti con mutazioni del gene C9orf72. Gli esperimenti
condotti in provetta su cellule di pazienti hanno dimostrato che
l'acamprosato ha un effetto neuroprotettivo paragonabile o
superiore a quello del riluzolo, l'attuale standard di cura per
la Sla.
I ricercatori del "Centro Dino Ferrari" dell'Università degli
Studi di Milano sia della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico
Italiano che della Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore
Policlinico - hanno contribuito a questo importante studio che
ha analizzato dati genomici di oltre 41.000 individui colpiti
dalla malattia. Il gruppo italiano fa parte del Consorzio SLAGEN
per favorire la ricerca genetica sulla SLA. I ricercatori hanno
anche scoperto che i fattori genetici che influenzano il rischio
di sviluppare Sla sporadica possono modificare l'età di esordio
nei pazienti con mutazioni di C9orf72, fornendo nuove
informazioni sulla variabile espressione clinica della malattia.
All'inizio gli esperti hanno studiato varianti geniche che
influenzano l'età di esordio della malattia nei pazienti con
mutazione nel gene C9orf72, spiega Nicola Ticozzi, direttore
dell'UO di Neurologia dell'Auxologico San Luca di Milano; poi
questa strategia è stata usata per identificare possibili
terapie.
L'approccio innovativo basato sull'analisi dei dati genomici
ha permesso inoltre di identificare un farmaco già disponibile
che potrebbe essere rapidamente testato in trial clinici,
spiegano gli autori del lavoro. I primi esperimenti in provetta
con cellule di pazienti confermano questa possibilità, afferma
Antonia Ratti.
"La possibilità di utilizzare un farmaco già approvato
potrebbe accelerare significativamente il processo di sviluppo
di nuovi trattamenti", conclude Giacomo Comi.
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