"L'idea di proporre studi di qualità
superiore agli attuali è sicuramente condivisibile (anche se a
volte resta un auspicio più facile a dirsi che a farsi), ma non
è accettabile l'idea che quelli fatti sinora non siano 'adeguati
all'obiettivo', quasi a dire che sinora si è sbagliato tutto e
si deve partire da capo".
È questa una delle motivazioni con cui Maurizio Mori, già
professore ordinario di Filosofia morale e bioetica
all'Università di Torino e membro del Comitato Nazionale di
Bioetica, ha votato contro - il solo - il parere sull'uso del
farmaco che blocca la pubertà, la triptorelina, in caso di
diagnosi disforia di genere.
Mori, nella nota di dissenso allegata al parere del Cnb,
contesta la motivazione principe alla base del parere diffuso
oggi: "Se davvero i dati scientifici fossero insufficienti, ciò
comporterebbe riconoscere che già il parere 2018 è stato poco
attento nell'approvare l'uso della triptorelina e si fa fatica a
capire come i farmacologi del Cnb che allora approvarono il
Parere possano oggi condividere la tesi dell'evidente
insufficienza dei dati scientifici", scrive.
Non solo: secondo Mori, il parere sottende un rischio.
"Rispetto al parere 2018, la risposta 2024 viene a accentuare
l'importanza dell'intervento psichiatrico, aspetto che dal punto
di vista etico è molto problematico", spiega. "Già con
l'omosessualità si è passati dalla condanna morale alla
psichiatrizzazione del tema, e ora la Risposta 2024 sembra
lasciare intendere che quelli di disforia di genere non siano
problemi psicologici (anche gravi) o difficoltà esistenziali, ma
rientrino tra i disturbi psichiatrici: aspetto che non favorisce
la situazione psico-sociale dei giovani che si trovano a dover
scegliere", prosegue. "Tale scelta è già difficile di suo" e ora
"viene stigmatizzata dalla richiesta di un intervento
eventualmente psichiatrico", conclude Mori.
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