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Omicidio Pescara:neurologo,banalizzazione morte e crollo empatia

Omicidio Pescara:neurologo,banalizzazione morte e crollo empatia

Sorrentino, spiegare uso sostanze e social e danni al cervello

ISERNIA, 25 giugno 2024, 18:43

Redazione ANSA

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"Sono molto colpito, ma non è la prima volta che accade. Assistiamo alla banalizzazione della morte come se fosse diventata una procedura da semplificare, dove la morte di un coetaneo viene sbrigata con modalità in cui si percepisce un crollo dell'empatia. Purtroppo, ciò non mi sorprende. Grazie anche e a un uso distorto dei social media stiamo assistendo a una processo di de-empatizzazione, con un impoverimento progressivo di questa funzione, e qualità, che il nostro cervello ci mette a disposizione affinché possiamo metterci nei panni degli altri e condividerne lo stato d'animo".
    Lo ha detto all'ANSA Rosario Sorrentino, neurologo e divulgatore scientifico, in riferimento all'omicidio di un 17enne a Pescara, ucciso da due coetanei. "L'adolescenza è un'età meravigliosa - ha detto ancora Sorrentino -, ma si contraddistingue per un'alta propensione al rischio e al pericolo, con azioni, comportamenti e decisioni che risentono molto di una prevalenza, in questa età, dei circuiti dell'emozioni, dove la rabbia, l'aggressività e gli impulsi prevalgono spesso sulla ragione".
    Al neurologo abbiamo chiesto come l'uso preminente dei social possa agire sul cervello: "Un cervello a trazione anteriore, quello dell'adolescenza, arriva a commette azioni talvolta sconvolgenti. Il cervello, quando alterato da droga, alcol, cannabis e altre sostanze psicoattive non ascolta più la voce della ragione che proviene dalla corteccia pre-frontale di quest'organo e che ci trasferisce quel comando: fermati non lo puoi dire, fermati non lo puoi fare, facendo prevalere tutt'altro messaggio: saltagli addosso, fagliela pagare". Ma dopo l'esperienza del lockdown è sicuramente molto più complesso spiegare ai ragazzi i danni provocati dall'uso distorto dei social: "Penso che l'esperienza del lockdown sia stata una gigantesca incubatrice - ha commentato il neurologo - che ha slatentizzato, a dismisura, diverse forme di disagio mentale e incrementando l'addiction facendo lievitare tossicodipendenze senza droga. Con l'abuso dei social fa ritardare, ulteriormente, la maturazione di quella parte del nostro cervello che dovrebbe imprimere un freno, una censura a certi comportamenti, a certe pulsioni. Nel caso specifico, riportato dalla cronaca - ha proseguito -, assistiamo a una sorta di condivisione di una progettualità terrificante che mirerebbe a sopprimere, a fargliela pagare in quanto venuto meno a regole o codici molto discutibili, sconfinando così nella tragedia. Persone irreprensibili, insospettabili, che commettono poi azioni allucinanti. Ci troviamo di fronte alla tragedia della normalità". E allora cosa fare? "Bisogna entrare nelle scuole con i neuroscienziati, mostrare ai giovani il funzionamento del loro cervello, con dei modellini e spiegare perché in quella fase della loro vita si assumono determinati atteggiamenti, ricordando loro che il cervello, soprattutto alla loro età, è il 'Re' della nostra esistenza e va rispettato in ogni modo.
    Assumere sostanze o atteggiamenti sbagliati come per esempio la mancanza prolungata di sonno può essere l'esordio di una serie di disturbi e malattie psichiatriche che rischiano di rimanere per tutta la vita. La mia proposta rivolta alla politica - ha concluso - è che ci siano incontri generazionali tra scuola, famiglia e studenti, dove esperti del cervello possano spiegare attraverso un nuovo linguaggio quello che accade in questa fase della vita, altrimenti si rischia un dialogo tra sordi".
   

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