Fondi Ue, una posta che vale miliardi per l'Italia
Schulz con Renzi, va discusso impatto investimenti su deficit
21 marzo, 08:25di Lucia Sali
BRUXELLES - Svariati miliardi di euro, che potrebbero essere 'liberati' dal cappio del 3% del deficit e spesi in ulteriori investimenti per crescita ed occupazione. E' la posta in gioco, concreta e tutt'altro che 'euroburocratica', della 'battaglia' a nove zeri sui fondi Ue che il premier Matteo Renzi vuol far passare a Bruxelles.
I finanziamenti europei che arrivano in Italia, per progetti mirati allo sviluppo del paese e in particolare delle regioni più deboli, per essere spesi devono essere 'completati' da fondi italiani in base ad una quota di cofinanziamento precisa, che fino a qualche tempo fa era del 50%. Per esempio, se Bruxelles dava 10 milioni per l'avvio di start-up innovative, l'Italia doveva metterne altrettanti per poter realizzare un progetto da 20 milioni complessivi. Questo vuol dire che, in tempi di crisi e di casse pubbliche vuote, un paese rischia di non poter usufruire dei fondi Ue perché non può mettere la sua quota.
E infatti per i paesi sotto programma come la Grecia e il Portogallo, Bruxelles ha deciso di portare la sua quota di cofinanziamento al 95%.
L'Italia, grazie a quattro riprogrammazioni concordate con Bruxelles nel solo periodo 2012-2013 sotto l'operato dei ministri per la coesione territoriale Fabrizio Barca e Carlo Trigilia, è riuscita a far scendere l'aliquota al 25% liberando un 'tesoretto' da 12 miliardi. Questi, con l'ok di Bruxelles, sono stati impegnati in misure di carattere strutturale. Ora si tratta di fare un ulteriore passo in avanti: fermo restando che deve essere ancora concordata l'aliquota di cofinanziamento per i fondi Ue per i prossimi sette anni (circa 33 miliardi di euro) e che l'obiettivo è di tenerla al 25%, il governo vorrebbe che la parte di finanziamenti nazionali sin da ora venisse 'decurtata' dalle spese che rientrano nel calcolo del deficit. Questo vorrebbe dire avere più spazio di manovra per altri investimenti produttivi, liberando margine al tetto del 3%. Perché, è il ragionamento, i fondi che servono per completare i progetti realizzati con quelli Ue, sono investimenti strutturali per crescita e occupazione, che non dovrebbero andare a pesare sul deficit.
E proprio su questo Renzi ha incassato il sostegno del presidente dell'Europarlamento Martin Schulz, secondo cui il premier "ha ragione a sollevare la questione, bisogna discuterne", anche se "non possiamo rimettere in causa i criteri di Maastricht".